di Roberto, ferroviere in pensione
Quando ho ricevuto la lettera di assunzione in Ferrovia, correva l’anno 1983. Craxi era Presidente del Consiglio, in radio imperversava “Vamos a la playa” e io lavoravo in un settore completamente diverso. Il primo ricordo legato alla ferrovia che ho è la notte precedente al primo giorno di lavoro effettivo. Passata insonne, tante erano la smania di cominciare e la paura di sbagliare qualcosa. A ben vedere, di responsabilità ce n’erano parecchie, perché nel 1984, l’anno in cui ho preso effettivamente servizio come C.S. a Sanremo, sono stato catapultato in un mondo fatto di treni pari e dispari, di incroci e precedenze, di deviatoi e passaggi a livello termini di cui ho conosciuto il significato e le funzioni solo dopo il corso di Movimento ed Apparati. Si lavorava ancora con l’A.C.E. (Apparato Centrale Elettrico) e con il cambio manuale e il lavoro da Capostazione era tutto un padroneggiare tempi, pulsanti e leve. Passata l’agitazione, mi ci è voluta però solo qualche settimana perché subentrasse la passione per il lavoro. Sanremo, città di mare e di turismo, era una stazione con linea a semplice binario, blocco manuale, spostamenti di incroci dettati dal D.C. (Dirigente Centrale), dove si lavorava bene grazie a colleghi disponibili che ti facevano sentire quasi come in famiglia. Nel tempo libero, appena poteva, mi raggiungeva da Genova Danila, quella che qualche anno dopo sarebbe diventata mia moglie. Ancora oggi, sono convinto che buona parte della sua decisione di sposarmi sia stata dettata dall’avermi visto con indosso quella bella divisa da Capostazione. Da Sanremo sono stato trasferito a Rapallo e poi a Brignole, dove sono rimasto fino ai primi anni del 2000.
A Rapallo sono passato ad operare con l’A.C.E.I. (Apparato Centrale Elettrico ad Itinerari) e col Blocco Automatico, per poi concludere la mia carriera in RFI come D.M. Est e Ovest prima, D.M.Interno poi e infine come C.S.Piazzalista col passaggio al Trasporto Regionale. Sono stati anni di cambiamenti epocali, in ferrovia. L’automatizzazione graduale di buona parte degli apparati ha portato alla riduzione del personale ed alla centralizzazione della professione del Capostazione. Poi, negli ultimi anni di lavoro dalla centrale operativa di Teglia, ho assistito proprio a una ridefinizione del ruolo. Oggi è quasi tutto automatizzato ma, a fronte di un innegabile aumento dell’efficienza, viene da chiedersi dove sia finito il valore umano. Chissà se i nuovi assunti che si affacciano a questo mondo, passano ancora svegli la notte prima di iniziare, agitati per la consapevolezza di essere sul punto di imparare un mestiere. Da parte mia, non posso negare di aver provato, specie negli ultimi anni, una grande nostalgia per quelle giornate il cui tempo era scandito dai suoni dei macchinari e dai colori delle spie.
Ma può essere che sia anche solo per il modo in cui mi calzava così bene quella vecchia divisa.