DI ANNA DAFNE LANDI, ANNI 15 (FIGLIA DI G. LANDI E C. SILVESTRO, SERODI E SIGE DI RFI
Quando si parla di Giappone, probabilmente le prime immagini che vengono alla mente sono i samurai con le loro solide armature, le geishe con trucchi elaborati e raffinati, il sushi e i grattacieli di Tokyo. Naturalmente, tutto ciò rispecchia solo una minima parte dell’immensa cultura giapponese, per questo farò una breve panoramica sulla collocazione geografica e sulla storia di questa grande nazione. Il Giappone, in lingua autoctona 擨塓 (Nippon), è uno stato insulare dell’estremo Oriente situato nell’Oceano Pacifico. I primi abitanti arrivarono sia dalla Corea, sia dalla Cina meridionale, mescolandosi e portando ciascuno il proprio contributo. Per molti secoli la struttura politica si basò sul feudalesimo fino a quando, nel 1867, il potere imperiale venne restaurato. In questo periodo si diffusero le figure dei samurai, guerrieri al servizio del palazzo.
Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento il Giappone si trasformò in una potenza capitalista piuttosto aggressiva anche in politica estera. Partecipò alla prima e alla Seconda guerra mondiale in cui si schierò al fianco dell’Italia fascista e della Germania nazista con l’Asse Roma-Berlino-Tokyo, occupando gran parte dell’Asia orientale. Sconfitto dagli alleati, nel 1945 conobbe l’immane tragedia dello scoppio di due bombe atomiche: il 6 agosto a Hiroshima e il 9 agosto a Nagasaki. Subito dopo la guerra il Paese fu occupato dagli Americani e l’ordinamento politico si trasformò in monarchia costituzionale. Tuttavia, già a partire dagli anni Cinquanta, la sua economia si ricostruì fino a raggiungere e superare notevolmente i livelli dell’anteguerra. Nonostante la storia di questa affascinante nazione sia davvero intrigante, non è questo che mi ha fatto avvicinare alla sua cultura.
Inizialmente mi sono interessata alla cucina tipica (擨塓翐逤, nihon-ryōri): perché sì, oltre al sushi si mangia anche altro in Giappone. Uno degli ingredienti principali è il riso, ma sono diffusi anche pasta, pesce, verdure e legumi, conditi solitamente con le varie spezie locali. La carne è generalmente assente dalla cucina tradizionale, ma presente in alcuni piatti di origine straniera come il tonkatsu (cotoletta di maiale servita insieme a cavolo cappuccio tritato, riso bianco e zuppa di miso) o il torikatsu (pollo al panko). Non esiste il concetto di primo piatto, secondo, contorno e frutta; di solito in tavola vengono portati contemporaneamente tutti i cibi, consumati senza ordine prestabilito. Nelle abitazioni i piatti vengono cotti direttamente in tavola e i commensali si servono dalla pentola.
Nonostante si faccia un largo uso di pietanze fritte, grazie al consumo di un’immensa quantità di verdure, la cucina giapponese è una delle più bilanciate e salutari del mondo, tanto da essere inserita fra i patrimoni orali e immateriali dell’umanità dell’Unesco. Tra le bevande più diffuse vi sono il sakè (bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione del riso), le birre Lager a bassa fermentazione (Kirin, Sapporo, Asahi), l’umeshu (liquore a base di prugne) e naturalmente il tè verde, bevanda nazionale, la cui cerimonia, chiamata Cha no yu, è tenuta in grande considerazione.
Naturalmente, come ogni paese, anche il Giappone ha un “lato oscuro”. Tra i vari fenomeni che ne fanno parte, quello che più mi colpisce e inquieta allo stesso tempo è l’Hikikomori, letteralmente “stare in disparte”. Questo termine viene utilizzato per indicare coloro che decidono di ritirarsi dalla vita sociale per lunghi periodi (da sei mesi fino a molti anni), diventando dei veri e propri eremiti contemporanei. Le stime suggeriscono che in Giappone circa mezzo milione di giovani siano dei reclusi sociali, a cui vanno aggiunti più di mezzo milione di adulti di mezza età. A questo stato si associa spesso il rifiuto di comunicare o la scelta di farlo solo attraverso sistemi che garantiscano al soggetto il pieno controllo della comunicazione stessa, come quelli informatici. Tuttavia, soltanto il 10% degli hikikomori naviga su Internet, mentre il resto impiega il tempo leggendo, girovagando nella propria stanza o semplicemente oziando, nell’impossibilità di cercare lavoro o frequentare la scuola. Tale scelta può essere indotta da fattori personali e sociali di varia natura, tra cui la volontà di sfuggire al conformismo tipico della società giapponese e la grande pressione verso l’autorealizzazione e il successo personale a cui l’individuo è sottoposto fin dall’adolescenza. Oltre all’isolamento sociale, gli hikikomori soffrono tipicamente di depressione e di comportamenti ossessivo-compulsivi. La percentuale di suicidi tra gli hikikomori rimane comunque bassa perché, nonostante il desiderio di porre fine alla loro esistenza sia alto, subentra nei soggetti una forma di narcisismo che salva loro la vita. L’hikikomori non è un fenomeno esclusivamente giapponese poiché è presente, seppur in percentuale minore, anche in Italia e in altri paesi in tutto il mondo. In conclusione, l’intricata cultura giapponese offre numerosi spunti di riflessione e approfondimento, quindi, visto che questo articolo non può essere infinito, se avete delle curiosità potete affidarvi a internet o, per i più impavidi, c’è sempre la possibilità di prendere un aereo alla volta di Tokyo e decollare verso una nuova avventura alla scoperta del misterioso Giappone.