di Marco Galaverna

 

Una mia foto qui riprodotta, risalente al 1979, riprende la foce del torrente Polcevera, verso il mare, e inquadra tre ponti metallici ferroviari nessuno dei quali oggi esiste più.

Quello più vicino apparteneva a una linea ferroviaria la cui costruzione fu abbandonata poco tempo dopo l’inizio dei lavori e mai più ripresa, indicata talora come “linea della Coronata”, dal nome del quartiere genovese sotto il quale il manufatto ebbe il suo termine. Si trattava di un collegamento, previsto a doppio binario, tra il fascio portuale di Sampierdarena (Scalo Bacino) e, secondo alcune fonti, l’esistente linea Succursale dei Giovi ovvero, secondo altre fonti, un ipotetico terzo valico tutto da realizzare: un collegamento alternativo, quindi, alla “linea Sommergibile” già in esercizio, che avrebbe evitato il Quadrivio Torbella. La costruzione, avviata all’inizio degli anni Trenta, fu interrotta prima del 1938 – ’39 [1]. Le sei travate metalliche poste in opera con attigue sezioni in muratura scavalcavano i binari della “linea Sommergibile”, quelli della linea per Savona, il torrente Polcevera, l’attuale via Pieragostini (prosecuzione urbana della “Aurelia”) e una piccola porzione dell’abitato di Cornigliano; esse furono demolite nel 2008.

Più in basso si scorge il ponte, anch’esso metallico, della ferrovia Genova – Savona, che fu sostituito con lievi modifiche di tracciato da un nuovo manufatto nel 2011. Sullo sfondo, si trova il ponte utilizzato per un raccordo ferroviario tra l’area industriale Italsider e lo Scalo Bacino, demolito in epoca successiva alla fotografia; sul posto, oggi c’è un ponte stradale.

La carrellata su queste opere, riunite in uno spazio insolitamente circoscritto, ci offre l’occasione di aprire una breve digressione su quelli che, con una denominazione comune, sono indicati come “ponti in ferro”.

I ponti rappresentano le più precoci realizzazioni di opere civili in metallo. Inizialmente il materiale impiegato fu la ghisa. Il primo ponte di ghisa fu in realtà stradale e non ferroviario e risulta essere quello di Coalbrookdale, sul fiume Severn (Inghilterra), realizzato nel 1779 da Abraham Darby. Già nel 1845, tuttavia, Robert Stephenson progettò un ponte metallico per il passaggio dei treni.

Sul fronte dei materiali, storicamente si ebbe prima il passaggio dalla ghisa al ferro (“ferro fuso” o “agglomerato”) e successivamente, perseguendo caratteristiche meccaniche migliori, compatibili con campate più lunghe, dal ferro all’acciaio. La messa a punto del processo Bessemer (1856) agevolò la produzione industriale dell’acciaio e da allora questo fu l’unico materiale impiegato per i ponti metallici.

In Italia, la prima regolamentazione sulla progettazione e l’esecuzione di ponti ferroviari in metallo, che seguì a una fase pionieristica in cui i criteri venivano fissati caso per caso, fu approvata nel 1888 col titolo “Capitolato d’appalto delle travate metalliche occorrenti nella costruzione delle Ferrovie Complementari” [2].

Inizialmente i ponti ferroviari di piccola luce erano costituiti da due travi di acciaio collocate direttamente sotto il binario. Per luci fino a 16 – 18 m la costruzione a travi gemelle, due coppie di travi a doppio T in composizione chiodata o saldata, collegate tra loro da elementi trasversali, i calastrelli, sui quali sono indirettamente fissate le rotaie, è ancora una soluzione valida.

Per luci superiori, indicativamente fino a 25 m, si usano travate a parete piana, con travi maestre, elementi trasversali e, sopra questi, longherine che formano il piano di posa delle traverse per l’armamento del binario.

Travate a traliccio “a gabbia aperta”, come quelle della foto, forniscono una maggiore robustezza flessionale, adatta a luci fino a 40 m; le pareti laterali sono caratterizzate dalla struttura reticolare, a triangolo o a croce di Sant’Andrea o con montanti verticali. Le travi a traliccio “a gabbia chiusa”, che presentano una rigidità flessionale ancora superiore, si realizzano collegando fra loro in alto le pareti laterali, formando così uno scatolato che può ospitare i binari all’interno (ponte “a via inferiore”, se ne ha un esempio a Genova lungo la linea del Campasso) o sopra (ponte “a via superiore”). Negli ultimi decenni hanno avuto applicazioni ferroviarie anche i ponti “a cassone”, già diffusi nelle autostrade, che permettono la realizzazione di grandi luci con risparmio di acciaio rispetto alle travate reticolari.

Un aspetto poco noto dei ponti metallici è costituito dagli apparecchi di appoggio, che trasmettono le sollecitazioni alle pile e alle spalle laterali. Si usano sia appoggi fissi di acciaio fuso (un tempo di ghisa), analoghi a quelli dei ponti stradali, sia appoggi mobili a rulli, che consentono le piccole ma necessarie libertà di movimento fra le parti.

Anche il varo dei ponti metallici ferroviari è un argomento interessante e meriterà una futura pagina a sé della nostra rubrica.

 

[1] A. Mandelli, “Il nodo di Genova crocevia d’Europa, dalle origini al futuro”, Rivista La Tecnica Professionale, n.6/2015, pagg. 55-56

[2] “L’acciaio nella viabilità”, Pubbliche Relazioni Italsider, 1969, Stampa Fratelli Pagano – Tipografi Editori – Genova.