di Marco Galaverna

Fra tutti i tipi di motori elettrici, quello a collettore e spazzole con l’avvolgimento induttore, sullo statore, collegato in serie con il circuito di indotto, sul rotore, è l’unico che può funzionare sia in corrente continua (c.c.) sia in corrente alternata (c.a.) e per questo motivo è detto universale.

Nella cultura elettrotecnica “ufficiale” (testi scolastici, dispense e corsi universitari) questo tipo di motore elettrico è quasi ignorato o, se viene trattato, ciò avviene per elencarne i difetti: scarso rendimento, scintillio al collettore, usura delle spazzole e, in conclusione, è considerato adatto tutt’al più per trapani e frullatori da cucina.

In effetti, l’impiego del motore universale attualmente è pressoché limitato al settore dei piccoli elettrodomestici. Ma non è sempre stato così e, prima dell’avvento dell’elettronica industriale, esso ebbe un posto di rilievo nella grande trazione ferroviaria.

All’inizio del Novecento, non era chiaro se, per la trazione elettrica, fosse più vantaggioso il sistema a c.c., quello a c.a. monofase o quello a c.a. trifase. In ogni caso, la scelta della corrente alternata portava con sé la comodità di poter abbassare o alzare il livello delle tensioni per mezzo di trasformatori, tanto negli impianti a terra quanto a bordo dei mezzi.

Nel 1904 si sperimentò sulla ferrovia svizzera Seebach – Wettingen un’elettrificazione a c.a. monofase a 15 kV, valore per l’epoca elevato, alla frequenza di 50 Hz. A quella frequenza di alimentazione, i motori di trazione delle locomotive, appunto del tipo universale (in questo ambito denominati “monofasi a collettore”), non funzionavano bene, sicché il sistema fu modificato adottando la frequenza speciale di 16.7 Hz e con questo accorgimento esso si mostrò superiore a tutti i sistemi precedenti, grazie alla linea di contatto a filo unico e alla facilità con cui si riuscì a regolare la velocità dei treni, mediante un trasformatore di bordo a rapporto variabile.

All’epoca era già noto che i difetti caratteristici di quel tipo di motore, scintillio e usura delle spazzole, erano proporzionali al valore della frequenza di alimentazione e perciò, in luogo di quella usuale per gli impieghi civili e industriali, 45, 50 o 60 Hz, si adottò nelle applicazioni ferroviarie la frequenza speciale di 16,7 o 25 Hz. Nasceva così l’importante sistema di trazione elettrica monofase a bassa frequenza, che divenne il sistema nazionale in Svizzera, Austria, Germania, Svezia, Norvegia, dove è tutt’ora usato.

Il motore monofase a collettore fu oggetto di continui perfezionamenti tecnici nell’arco di oltre mezzo secolo e, con buona pace dei suoi detrattori, caratterizzò alcuni dei migliori mezzi di trazione di sempre. Ricordiamo le locomotive svizzere Re 6/6, costruite dal 1972 e ancor oggi in servizio, con la ragguardevole potenza di 7440 kW, e le svedesi Dm3, probabilmente le più grandi locomotive elettriche costruite in Europa, ormai ritirate, capaci di una ineguagliata forza di trazione di 940 kN (a titolo di confronto, la forza di trazione massima delle locomotive italiane non arriva a 300 kN).

Ulteriore riprova della validità della trazione con motori monofasi viene dal fatto che mentre le amministrazioni ferroviarie che utilizzavano la trazione in corrente continua ritennero opportuno, dagli anni Settanta, sviluppare azionamenti elettronici per migliorare le prestazioni dei mezzi (ad esempio in Italia e in Francia), in Germania gli ordinativi di macchine con motori monofasi tradizionali, cioè senza convertitori elettronici, proseguirono fino agli anni Novanta (Gruppo DR 112, riporto dal libro [1]). La Svizzera è però la nazione che, nonostante l’avvento dell’elettronica, ha oggi il maggior numero di mezzi con motori monofasi a collettore ancora in servizio.

Di contro, alla frequenza industriale di 50 Hz i problemi dei motori monofasi a collettore per uso ferroviario non furono mai del tutto superati, essenzialmente per il commutatore a spazzole, che richiedeva dimensioni eccessive per ridurre la densità di corrente, con inevitabile peggioramento del rapporto potenza/massa. Ciò spiega perché le locomotive sperimentali, svizzere e francesi, con motori monofasi alimentati a 50 Hz non ebbero seguito, in quanto quel tipo di motore non era abbastanza efficiente e affidabile per la trazione pesante; ma, per i mezzi leggeri, di minore potenza, le difficoltà furono superate e, negli anni Cinquanta, diverse serie di elettromotrici con motori monofasi a collettore, direttamente alimentati a 50 Hz, furono costruite per le reti di Giappone, Portogallo e Turchia [2].

Eppure, delle 694 pagine di uno fra i più classici e famosi libri italiani di macchine elettriche, l’Olivieri – Ravelli, usato da generazioni di studenti, il motore monofase a collettore occupa soltanto due mezze pagine [3]. Sorprendente è stata quindi la scoperta, nella biblioteca della scuola in cui insegno, di un libro interamente dedicato a questo tipo di motore [4]: si tratta di una traduzione francese da un originale tedesco e ne riporto l’immagine della copertina. L’immagine è fuorviante, anche perché è stampata capovolta, ma sembra riconoscervi una locomotiva francese del Gruppo BB 12000, che non aveva motori monofasi a collettore bensì motori a c.c. alimentati tramite convertitori di bordo: piccolo mistero che aggiunge interesse all’argomento. 

 

[1] F. Perticaroli, “Sistemi elettrici per I trasporti”, Masson, Milano, 1994, pag. 327

[2] Y. Machefert Tassin, F. Nouvion, J. Woimant, “Histoire de la traction electrique”, La Vie du Rail, 1980

[3] L. Olivieri, E. Ravelli, “Macchine elettriche”, Cedam, Padova, 1957, pagg. 620 – 621

[4] R. Richter, “Moteurs monophasés à collecteur”, Dunod, Paris, 1959