DI LUANA ROSSINI
Dopo aver dedicato un articolo al Giorno della Memoria non solo nel numero scorso di Superba, mi sembrava doveroso occuparmi del Giorno del Ricordo: la memoria delle vittime delle foibe e degli italiani costretti all’esodo dalle ex province italiane della Venezia Giulia, dell’Istria, di Fiume e della Dalmazia è un tema che ancora divide. Eppure, quelle persone meritano di essere ricordate.
Il Giorno del Ricordo è una solennità civile italiana che si celebra il 10 febbraio, firma del trattato di pace di Parigi, ed è stato istituito con la legge n. 92 del 30 marzo 2004 per commemorarne le vittime.
Cosa sono le foibe? Da un punto di vista geografico, sono voragini carsiche naturali, tipiche dell’altopiano del Carso, una regione che si estende tra il Friuli-Venezia Giulia, la Slovenia e la Croazia. Si formano in zone calcaree per effetto dell’erosione dell’acqua che dissolve la roccia e crea cavità sotterranee, spesso a forma di imbuto, che possono raggiungere centinaia di metri di profondità. Alcune foibe sono connesse a sistemi di grotte e fiumi sotterranei, caratteristici delle zone carsiche.
Le Foibe più note in Italia e in Istria:
- Foiba di Basovizza (Trieste): oggi è un monumento nazionale e simbolo della tragedia delle foibe.
- Foiba di Monrupino (Trieste): una delle più profonde della zona.
- Foiba di Vines (Istria): tra le più tristemente note per le esecuzioni avvenute tra il 1943 e il 1945.
- Foiba di Pisino (Croazia): famosa anche per la sua rilevanza geologica e speleologica.
Nella storia italiana sono diventate tristemente famose a causa delle esecuzioni di massa avvenute durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale. In esse, tra il 1943 e il 1945, da parte dei partigiani jugoslavi di Tito (i cosiddetti titini) furono gettati migliaia di italiani (militari, civili, donne, bambini) considerati oppositori del nuovo regime comunista jugoslavo. Fin dal dicembre 1945 il premier italiano De Gasperi presentò agli Alleati «una lista di nomi di 2.500 deportati dalle truppe jugoslave nella Venezia Giulia» e indicò «in almeno 7.500 il numero degli scomparsi». In realtà, il numero fu ben superiore a quello temuto da De Gasperi. Le uccisioni di italiani – nel periodo tra il 1943 e il 1947 – furono almeno 20mila; gli esuli italiani costretti a lasciare le loro case almeno 250mila.
Ci furono due principali ondate di violenze. La prima nel settembre 1943 (dopo l’armistizio dell’8 settembre):
– in Istria e Dalmazia i partigiani jugoslavi di Tito si vendicarono contro i fascisti che, nell’intervallo tra le due guerre, avevano amministrato questi territori con durezza, imponendo un’italianizzazione forzata e reprimendo e osteggiando le popolazioni slave locali. Tito e i suoi uomini, fedelissimi di Mosca, iniziarono la loro battaglia di (ri)conquista di Slovenia e Croazia – di fatto annesse al Terzo Reich – senza fare mistero di volersi impadronire non solo della Dalmazia e della penisola d’Istria (dove c’erano borghi e città con comunità italiane sin dai tempi della Repubblica di Venezia), ma di tutto il Veneto, fino all’Isonzo, zone già teatro della terribile guerra di trincea della Grande Guerra. Con il crollo del regime – siamo ancora alla fine del 1943 – i fascisti e tutti gli italiani non comunisti vennero considerati nemici del popolo, prima torturati e poi gettati nelle foibe.
La seconda, nella primavera-estate 1945 (fine della Seconda Guerra Mondiale):
– dopo la caduta di Berlino e la fuga dei nazisti, i partigiani jugoslavi tornarono in massa nei territori italiani. Conquistarono Trieste, Gorizia, Pola e Fiume, instaurando una feroce repressione. Migliaia di italiani furono deportati nei campi di concentramento jugoslavi o giustiziati direttamente; le vittime venivano spesso torturate, costrette a confessare crimini mai commessi e poi eliminate. I cadaveri venivano gettati nelle foibe per cancellare ogni traccia.
Come si moriva nelle foibe? I primi a finire in foiba furono carabinieri, poliziotti e guardie di finanza, nonché i pochi militari fascisti della RSI e i collaborazionisti che non erano riusciti a scappare per tempo (in mancanza di questi, si prendevano le mogli, i figli o i genitori). Le uccisioni avvenivano in maniera spaventosamente crudele. I condannati venivano legati l’un l’altro con un lungo filo di ferro stretto ai polsi, e schierati sugli argini delle foibe. Quindi si apriva il fuoco trapassando, a raffiche di mitra, non tutto il gruppo, ma soltanto i primi tre o quattro della catena per risparmiare proiettili, i quali, precipitando nell’abisso, trascinavano con sé gli altri, condannati a sopravvivere per giorni sui fondali delle voragini, sui cadaveri dei loro compagni, tra sofferenze inimmaginabili. Soltanto nella zona triestina, in tremila furono gettati nella foiba di Basovizza e nelle altre foibe del Carso.
La liberazione degli alleati: le truppe della Divisione neozelandese del generale Freyberg, l’eroe della battaglia di Cassino, che avanzavano dal sud della nostra penisola, dopo avere superato la Linea Gotica liberarono Venezia e poi Trieste: fu una vera e propria gara di velocità. Gli jugoslavi si impadronirono di Fiume e di tutta l’Istria interna, dando subito inizio a feroci esecuzioni contro gli italiani. Ma non riuscirono ad assicurarsi la preda più ambita: la città, il porto e le fabbriche di Trieste.
Il dramma di Fiume e il destino dell’Istria. A Fiume l’orrore fu tale che la città si spopolò. Interi nuclei familiari raggiunsero l’Italia ben prima che si concludessero le vicende della Conferenza della pace di Parigi (1947), alla quale – come dichiarò Churchill – erano legate le sorti dell’Istria e della Venezia Giulia.
La conferenza di pace di Parigi. Alla fine del 1946 la questione italo-jugoslava era divenuta per molti un peso che intralciava la soluzione di altre più importanti questioni: gli Alleati volevano trovare una soluzione per Vienna e Berlino; l’Unione Sovietica doveva sistemare la divisione della Germania. L’Italia era alle prese con la gestione della transizione tra monarchia e repubblica.
In sostanza bisognava determinare dove sarebbe passato il confine tra Italia e Jugoslavia. Gli Stati Uniti, favorevoli all’Italia, proposero una linea che lasciava al nostro Paese gran parte dell’Istria. I sovietici, favorevoli ai comunisti di Tito, proposero un confine che lasciava Trieste e parte di Gorizia alla Jugoslavia. La Francia propose una via di mezzo, molto vicina all’attuale confine, non perché rispettava le divisioni linguistiche, ma perché seguiva il confine effettivamente occupato dagli eserciti nei mesi precedenti. Il dramma delle terre italiane dell’Est si concluse con la firma del trattato di pace di Parigi il 10 febbraio 1947: l’Italia consegnò alla Jugoslavia numerose città e borghi a maggioranza italiana rinunciando per sempre a Zara, alla Dalmazia, alle isole del Quarnaro, a Fiume, all’Istria e a parte della provincia di Gorizia.
A sinistra una: giovane esule italiana in fuga trasporta, insieme ai propri effetti personali, un tricolore.
L’esodo. Il trattato di pace di Parigi, di fatto, diede alla Jugoslavia il diritto di confiscare tutti i beni dei cittadini italiani, con l’accordo che sarebbero poi stati indennizzati dal governo di Roma. Questo causò due ingiustizie: prima di tutto l’esodo forzato delle popolazioni italiane istriane e giuliane che fuggivano a decine di migliaia, abbandonando le loro case e ammassando sui carri trainati dai cavalli le poche cose che potevano portare con sé. E, in seguito, il mancato risarcimento. La stragrande maggioranza degli esuli emigrò per cercare una nuova patria: in Sud America, in Australia, in Canada e negli Stati Uniti.
Perché è importante ricordare? Ricordare serve a onorare le vittime, comprendere la storia e prevenire il ripetersi di simili tragedie anche se, oggi, la realtà ci riporta spesso alle stesse tragedie.
A sx: recupero dei corpi nelle foibe. A dx: il treno del ricordo
Dal discorso del Presidente Sergio Mattarella il 10 febbraio 2021. “L’orrore delle foibe colpisce le nostre coscienze. Le sofferenze, i lutti, lo sradicamento, l’esodo a cui furono costrette decine di migliaia di famiglie nelle aree del confine orientale, dell’Istria, di Fiume, delle coste dalmate sono iscritti con segno indelebile nella storia della tragedia della Seconda Guerra Mondiale e delle sue conseguenze. Nel Giorno del Ricordo che la Repubblica ha voluto istituire, desidero anzitutto rinnovare ai familiari delle vittime, ai sopravvissuti, agli esuli e ai loro discendenti il senso forte della solidarietà e della fraternità di tutti gli italiani. I crimini contro l’umanità scatenati in quel conflitto non si esaurirono con la liberazione dal nazifascismo, ma proseguirono nella persecuzione e nelle violenze, perpetrate da un altro regime autoritario, quello comunista”. Mattarella ricorda anche che “tanto sangue innocente bagnò quelle terre. L’orrore delle foibe colpisce le nostre coscienze. Il dolore, che provocò e accompagnò l’esodo delle comunità italiane giuliano-dalmate e istriane, tardò ad essere fatto proprio dalla coscienza della Repubblica. Prezioso è stato il contributo delle associazioni degli esuli per riportare alla luce vicende storiche oscurate o dimenticate, e contribuire così a quella ricostruzione della memoria che resta condizione per affermare pienamente i valori di libertà, democrazia, pace. Le sofferenze patite non possono essere negate. Il futuro è affidato alla capacità di evitare che il dolore si trasformi in risentimento e questo in odio, tale da impedire alle nuove generazioni di ricostruire una convivenza fatta di rispetto reciproco e di collaborazione. Ogni comunità custodisce la memoria delle proprie esperienze più strazianti e le proprie ragioni storiche. È dal riconoscimento reciproco che riparte il dialogo e l’amicizia, tra le persone e le culture”. Il presidente della Repubblica, a proposito dei rapporti fra gli italiani e sloveni, ricorda il grande valore simbolico di avere scelto Gorizia e Nova Gorica congiuntamente come capitale della cultura europea 2025. Scelte che “dimostrano una volta di più come l’integrazione di italiani, sloveni e croati nell’Unione Europea abbia aperto alle nostre nazioni orizzonti di solidarietà, amicizia, collaborazione e sviluppo. Il passato non si cancella. Ma è doveroso assicurare ai giovani di queste terre il diritto a un avvenire comune di pace e di prosperità. La ferma determinazione di Slovenia, Croazia e Italia di realizzare una collaborazione sempre più intensa nelle zone di confine costituisce un esempio di come la consapevolezza della ricchezza della diversità delle nostre culture e identità sia determinante per superare per sempre le pagine più tragiche del passato e aprire la strada a un futuro condiviso”.
(per l’articolo mi sono avvalsa di notizie riportate da Repubblica, Focus e altra sitografia)