Giorno della Memoria
27 Gennaio 2015
di Alessandro Cabella
Premessa: considerato che il riconoscimento della dignità di tutti i componenti della famiglia umana, dei loro diritti uguali e inalienabili, costituisce il fondamento della Libertà, della Giustizia e della Pace.
L’Art. 1 dei Diritti dell’uomo, delle Nazioni Unite sostiene: Tutti gli esseri umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri con spirito di fratellanza.
E’ con questo preambolo che vi proponiamo un momento di riflessione sul tema “Il giorno della memoria”.
Settant’anni sono trascorsi da quel 27 gennaio 1945 quando le armate di liberazione giunsero al campo di sterminio di Auschwitz (Oswiecim, in polacco). Oggi Oswiecim è il nome più dolce, forse sconosciuto, che i polacchi preferiscono invece di Auschwitz.
L’immagine più appariscente di questo disastro è sicuramente l’icona del campo di concentramento lagher Auschwitz-Birkenau, dove in quel solo luogo morirono bruciati attraverso i forni crematoi circa quattro milioni di persone. Altri campi di sterminio sono stati: Treblinka, Mathausen, Dakau, Majdanek e Belzec; ma Auschwitz è stato eletto il principale, tanto da essere considerato un’immensa fabbrica che produceva morti.
In questa landa desolata confinante con una palude, dove sarebbero finiti i prigionieri se fossero riusciti a fuggire, questo luogo di casematte semidistrutte, di baracche, recinto di filo spinato su isolatori allora percorso da corrente elettrica. All’interno lo squallore della sofferenza e della morte: mucchi di valige vuote, cappelli e berretti, pròtesi, stampelle, occhiali, ammassi di scarpe di adulti e di bambini disordinatamente accumulate, (ho visto un paio di scarpe rosse da donna belle eleganti, col tacco, neanche sporche di fango); un cumulo di capelli lunghi di donne, tante trecce giovani tagliate prima delle esecuzioni.
Corridoi e passaggi interi ricoperti di fotografie: teste rasate con volti segnati e occhi disperati di chi è stato gettato nel folle mondo di uno sterminio organizzato; sotto le foto date fra arrivo al campo e la morte: un mese, due mesi, massimo tre mesi. Aveva detto il vice comandante di Auschwitz Fritz al suo superiore Himmler: “In quanto agli ebrei, qui da noi non dovrebbero durare più di due settimane”.
All’interno del campo, alle spalle del muro delle fucilazioni, dove venivano regolate, con un colpo alla nuca o fucilati, dieci o quindici al giorno le questioni disciplinari, su quella parete una scritta in italiano di Primo Levi: Voi che venite, Voi che guardate, fate che non sia inutile la nostra morte.