DI ELISABETTA SPITALERI
“L’IMPERATORE DEL NORD” (“Emperor of the North Pole”, rititolato “Emperor of the North”, Usa 1973, regia di Robert Aldrich)
Robert Aldrich, scomparso nel 1983, è sempre stato considerato uno dei registi, produttori e sceneggiatori più influenti della sua generazione per il suo approccio anticonformista a questioni politiche e sociali controverse. Spesso descrive personaggi perdenti, cinici e violenti che lottano per la sopravvivenza.
Suoi grandi successi furono, solo per citarne alcuni: “Che fine ha fatto Baby Jane” (1962), “Quella sporca dozzina” (1967) e “Quella sporca ultima meta” (1974).
Nel film “L’imperatore del nord” (sceneggiatura di Christopher Knopf liberamente ispirata ad alcuni racconti di Jack London) affronta il tema di un’altra categoria di reietti, gli “hobo” che per scelta o per necessità si spostano da uno stato all’altro nell’America della Grande depressione viaggiando in modo clandestino sui vagoni merci. È un film essenzialmente d’azione, tutto costruito in funzione del duello finale, esplosione di violenza e ribellione, sullo sfondo di paesaggi spettacolari che il treno attraversa.
La vicenda si svolge nel 1933 e racconta della sfida tra Asso Numero 1 (Lee Marvin) e l’implacabile e sadico capotreno Shack (Ernest Borgnine) capace di uccidere a martellate i vagabondi che sorprende a bordo dei suoi treni. È sul treno merci numero 19, il cosiddetto “19er” diretto a Portland che si svolge questa sfida senza esclusione di colpi. Nella vicenda si inserisce anche un emulo di Numero 1, Cigaret (Keith Carradine), sbruffone e vigliacco. Con altri vagabondi e ferrovieri, Asso Numero 1 scommette che sarà il primo ad arrivare fino a Portland sul “19er”. Ma, a causa della disattenzione di Cigaret nel salire sul treno in arrivo, entrambi vengono scoperti da Shack, che fa di tutto per cacciarli dal treno. Nel combattimento finale su un vagone merci aperto, Asso numero 1 riesce a ferire Shack e a spingerlo fuori dal treno. In seguito, Cigaret si vanta come se avesse contribuito ugualmente a sconfiggere Shack, ma il vecchio vagabondo ne ha abbastanza di lui e lo butta giù dal treno, sostenendo che non ha abbastanza classe per essere un buon hobo.
Shack incarna il bieco difensore degli interessi dei padroni, Numero 1 è il romantico assertore del diritto a viaggiare e vivere anche dei poveracci, a suo modo esponente di quella cultura “hobo” che nasce alla fine del XIX secolo coinvolgendo soprattutto disoccupati e orfani che viaggiano per gli Stati Uniti svolgendo lavori stagionali e imbarcandosi clandestinamente sui treni merci alla ricerca di avventura. La cultura hobo, soprattutto in una seconda fase, trova però molti praticanti anche tra i giovani irrequieti perché caratterizzata da un’insofferenza verso lil potere e da uno spirito ribelle e tardo romantico espresso, ad esempio, da scrittori hobo come Jack London e come il padre della Beat Generation Jack Kerouac che renderanno mitica questa cultura. Ma nel periodo in cui si svolge il film n questo periodo la vita dell’hobo è una vita dura, e i vagabondi vengono genericamente additati come criminali lasciando ampia discrezionalità alle forze di polizia di “trattare” questi clandestini.
L’origine del termine hobo è sconosciuta. Ptrebbe derivare da “hoe-boy” (“bracciante”) o dal saluto “Ho-boy”. Si ipotizza la sua derivazione dal saluto “Ho, beau” in uso presso i lavoratori delle ferrovie statali americane, oppure dalle iniziali di “homeward bound” (“diretto a casa”). Peraltro, Ho potrebbe essere una contrazione di “homeless” e Bo di “boy”, pertanto “homeless-boy”.