DI LUANA ROSSINI

L’autrice del quadro in fotografia è la pittrice Antonella Checco, moglie del collega Aldo Manganaro. “Piange, il bambino piange”, il titolo. Antonella dipinge su tela un quadro i cui colori sottolineano una realtà drammatica. Il luogo è Gaza, in Medio Oriente, dove ospedali e scuole sono distrutti al pari degli obiettivi militari, dove la realtà, questa tragica realtà, è sì sotto gli occhi di tutti ma, soprattutto, sotto gli occhi di chi è ancora vivo. Immaginatevi se a guardare sono gli occhi di un bambino. Un brandello di bandiera della pace, anche quella fatta a pezzi, è stretto tra le dita del bambino, come ad aggrapparsi a un’esile speranza di pace. Ma non è solo Gaza: è la Siria, è l’Ucraina, lo sono i luoghi dei 56 conflitti armati in corso (dato che emerge dall’edizione 2024 del Global peace index), il numero più alto dalla seconda guerra mondiale, guerre che hanno assunto sempre più una dimensione internazionale, con ben 92 paesi coinvolti in scontri oltre i propri confini nazionali. Sì, perché anche i conflitti non sono tutti uguali perché di qualcuno si parla più di altri. Ciò che non cambia è il dolore, la distruzione e nessun bambino, in nessuna parte del mondo, dovrebbe crescere con così tanto dolore e distruzione intorno. Quale futuro potrebbe immaginare? Quali colori? Non è solo Gaza, quindi. 

Dove piangono i bambini?1 Ecco quali sono i conflitti aperti e dichiarati fra due o più stati o, in genere, fra gruppi organizzati, etnici, sociali, religiosi condotto con l’impiego di mezzi militari”, questa è la definizione della parola “guerra”. Quindi è una guerra quella che il Messico combatte dal 2006 contro i cartelli della droga e che, dall’inizio dell’anno, ha causato 1.367 morti. È guerra quella che si svolge in Nigeria dal 2009 e in cui nel 2022 sono morte 1.363 persone. Ovviamente sono guerre quella in Siria (1.037 morti nel 2022), in Ucraina (più di 100mila vittime tra morti e feriti), in Iraq (267 morti), nello Yemen (5.099 morti), nella regione del Tigrai, in Etiopia (410 morti). Si può definire guerra quella che devasta la Birmania in cui, dall’inizio dell’anno, ci sono state 3.846 vittime. L’Afghanistan è in guerra dagli anni ‘70 con milioni di vittime e decine di migliaia di rifugiati e dove la carestia minaccia cinque milioni di bambini. E sì, perché i bambini piangono anche quando hanno fame.

Ci sono poi le guerre cosiddette “a bassa intensità”2, come il conflitto tra Pakistan e India per la regione del Kashmir (575 vittime nel 2021) o quello in Sudan (1.364 morti nel 2021). E ancora: Repubblica Democratica del Congo, Somalia, Mozambico, Israele e Palestina. I bilanci delle vittime sono inevitabilmente approssimativi e una delle organizzazioni indipendenti che li aggiorna con più regolarità è l’Armed conflict location & event data project, secondo cui sono almeno dieci le crisi in corso che rischiano di precipitare: quelle nel Sahel, in Libano, ad Haiti e in Colombia.   

 

1 Fonte: Giovanni De Mauro, Internazionale

2 Per conflitto a bassa intensità (conosciuto anche con l’acronimo in lingua inglese LIC, ovvero low intensity conflict) s’intende l’uso di forza militare applicata selettivamente e in modo limitato.