DI ELISABETTA SPITALERI

Il protagonista del film è il macchinista delle ferrovie Andrea Marcocci (Pietro Germi). La sera di Natale, finito il turno, invece di andare a casa per festeggiare con la famiglia, si ferma in osteria a bere e suonare la chitarra per amici e colleghi. Il figlio Sandrino (uno straordinario Edoardo Nevola) viene mandato a cercarlo. In molte scene Sandrino è la voce narrante a commento delle complicate vicende personali degli adulti che lo circondano e spesso depositario di segreti troppo grandi per la sua età. Torna a casa ubriaco come spesso gli succede. Nessuno è ad attenderlo perché la figlia Giulia (Sylva Koscina), incinta e costretta a sposare un uomo che non ama, si è sentita male. Il bimbo nasce morto. Il rapporto di Marcocci con i figli, a parte Sandrino, non è mai stato semplice: Giulia per la sua scandalosa gravidanza prima del matrimonio e Marcello perché accusato di essere un fallito nullafacente. Considerati i pregiudizi dell’epoca questa situazione rende rabbioso e infelice Andrea, uomo tutto d’un pezzo, ancorato a solidi principi morali, senza eccezioni e comprensione per l’infelicità altrui. 

Per Andrea l’unico vero amico è Gigi Liverani (Saro Urzì) e con lui si sfoga durante i lunghissimi e sfiancanti turni di conduzione dei treni. Proprio durante uno di questi viaggi un uomo si getta volontariamente sotto il treno. Andrea ha visto l’uomo in volto prima dell’impatto ed è traumatizzato. Il viaggio prosegue ma a causa della stanchezza e il suo stato di shock non vede un segnale di arresto, evitando per un soffio un disastro ferroviario. Segue un’inchiesta e data la sua fama di forte bevitore viene demansionato.

Andrea si sente tradito dai compagni ferrovieri, è in forte conflitto con il sindacato e per questa ragione non aderisce allo sciopero indetto e viene con disprezzo additato da tutti come crumiro. Intanto non va a pezzi solo la sua vita professionale di cui era sempre stato fiero: Giulia abbandona il marito, Marcello va via di casa e lui stesso abbandona la famiglia per un po’, passando il tempo fra un’osteria e l’altra. 

Dopo un attacco di cuore e una lunga convalescenza a casa, durante un’altra vigilia di Natale, riscopre l’affetto dei suoi figli e dei suoi amici. Comprende che la causa dei suoi guai è stata la troppa intransigenza e la chiusura al mondo esterno. Muore nel suo letto alla fine della festa dopo un’ultima serenata alla moglie che lo ha sempre amato e sostenuto.

Il film nasce da un soggetto autobiografico intitolato Il treno di Alfredo Giannetti che lo adattò per il film insieme a Luciano Vincenzoni e Pietro Germi.

Con prospettiva neorealista la macchina da presa entra nelle case e incontra senza mediazioni o distorsioni, la realtà e il privato delle persone, la casa intesa come microcosmo dove coesistono i valori del passato, gli scontri generazionali e i nuovi valori della modernità e delle problematiche legate ai difficili anni del dopoguerra. Germi ci propone con questo film un romanzo popolare confermando le sue doti di ottimo narratore di casi umani dimostrando una maggiore attenzione al lato umano e una minore propensione all’analisi critica della società.

Secondo molti critici infatti la poetica di Pietro Germi è sostanzialmente estranea al carattere autenticamente “rivoluzionario” del neorealismo ma è indubbio che i suoi film più significativi toccarono alcuni temi importanti della vita sociale di quegli anni: “Gioventù perduta” (1948) tenta un’analisi dell’ambiente corrotto di certa gioventù borghese, “In nome della legge” (1949) e “Il cammino della speranza” (1950) sono uno studio di certe situazioni emblematiche come la mafia e il problema dell’emigrazione. Un approccio ironico e sarcastico come critica all’ipocrisia e al malcostume italiani sono “Divorzio all’italiana” (1961), “Sedotta e abbandonata” (1964), “Signore e signori” (1966). Tutti film con grande successo di pubblico.