di Marco Galaverna
Molti appassionati di treni sognano di vedere nuovamente in marcia, in testa a un convoglio speciale, alcune di quelle locomotive a vapore del passato, preservate ma ferme e spente da decenni in un museo o poste come monumento in qualche altro luogo.
Locomotive esemplari unici, in tali condizioni, anche di Gruppi famosi, sono presenti in vari luoghi d’Italia. L’esperienza ha mostrato che un lungo accantonamento non preclude tecnicamente la possibilità di rimettere in marcia una locomotiva a vapore. L’industria meccanica europea è in grado di eseguire tutte le lavorazioni necessarie; anzi, ricordiamo la costruzione ex novo della grande Pacific A1, entrata in servizio nel 2009 per treni speciali [1], organizzata dal gruppo inglese di appassionati A1 Steam Locomotive Trust. Dopo la ricostruzione della Adler nel 2005, coinvolta nell’incendio del Museo di Norimberga, la A1 è probabilmente l’ultima locomotiva a vapore costruita al mondo e dimostra che, in una siffatta impresa, gli ostacoli sono soltanto di natura finanziaria.
Gli appassionati italiani, ma forse non solo, hanno un ulteriore sogno che rasenta il proibito, nel senso che, a parlarne, si rischia di passare per visionari: veder tornare in attività una locomotiva trifase.
Qui le cose si complicano grandemente; gli esemplari preservati esistono e, forse, con qualche ricostruzione e inevitabili approssimazioni, le apparecchiature di bordo si potrebbero mettere in grado di funzionare. Ma, per muoversi, una locomotiva trifase ha bisogno di una linea aerea a doppio filo, che andrebbe costruita, sia pure con i materiali odierni, per una ferrovia specificamente destinata a scopo museale o, in ogni caso, separata dalla rete elettrificata.
Neppure questo sarebbe poi l’ostacolo maggiore. A meno di non rivoluzionare tutto l’impianto di bordo, creando un “falso storico” smisurato (e, a quel punto, di originale rimarrebbe soltanto la meccanica della locomotiva), la linea aerea di contatto andrebbe alimentata alla frequenza speciale di 16,7 Hz, che in Italia non esiste più. Vero è che oggi, per generare alla frequenza speciale una tensione alternata trifase di 3600 V, si userebbe un inverter elettronico, in luogo dei grandi convertitori rotanti del passato. Ciononostante, il costo complessivo per rivedere una “trifase” in corsa farebbe impallidire i tre milioni di sterline investiti dall’A1 Steam Locomotive Trust per la loro bella Pacific.
Per viaggiare sotto il doppio filo non ci rimane che espatriare. Sopravvivono col sistema trifase, infatti, le ferrovie svizzere del Gornergrat e della Jungfrau, alimentate però alla frequenza normale di 50 Hz, la ferrovia turistica della Rhune sui Pirenei francesi e a Rio de Janeiro quella del Corcovado [2]. Osserviamo che tutte queste linee sono assai brevi, non sono collegate alle reti nazionali e risalgono una montagna con l’ausilio di una cremagliera, la quale impone una velocità d’esercizio molto bassa: condizioni che non a caso rendono trascurabili gli inconvenienti tipici del sistema trifase.
Ciò può anche spiegare come mai in Italia, nazione che ebbe storicamente la più estesa rete ferroviaria elettrificata in trifase nel mondo, non sia sopravvissuta alcuna linea esercitata con tale sistema. A parte la Sondrio – Tirano della Soc. F.A.V., naturale prolungamento della Milano – Sondrio, tutte le linee italiane elettrificate in trifase appartennero alle FS e, una volta scelto come sistema nazionale quello a 3000 V in corrente continua, un sistema difforme e non compatibile non aveva, nel medio periodo, possibilità di sopravvivenza nella rete di Stato.
Diverso epilogo, forse, si sarebbe avuto se qualche ferrovia “concessa”, cioè non FS, avesse scelto di elettrificare i propri binari col sistema trifase. Infatti, caratteristiche tecniche fuori standard, come lo scartamento ridotto, la cremagliera, tensioni elettriche non unificate (ad esempio 1200 V) si sono conservate fino ad oggi, in Italia, soltanto su qualche linea regionale non appartenente a RFI. Se una di queste, a inizio Novecento, fosse stata attrezzata con il sistema trifase, esso avrebbe avuto più possibilità di giungere fino a noi.
Infine, per vedere una “trifase” in marcia, c’è anche il modellismo. A lungo, le maggiori case produttrici hanno ignorato le locomotive trifasi italiane, temendo forse un mercato ristretto o considerando la difficoltà di riprodurre in miniatura la linea aerea a doppio filo. Soltanto in anni relativamente recenti qualche modello in scala è apparso sui cataloghi. Ma i modellisti più appassionati, e più esperti, hanno sopperito con le autocostruzioni. Frutto di un’autocostruzione è appunto il modello in grande scala di una E.554, ripreso nell’immagine qui riportata, realizzato dal padre di Ange