di Giuseppe Morabito

Il 27 gennaio si celebra anche nel nostro Paese la Giornata della Memoria per commemorare, nel giorno in cui venne liberato dall’Armata Rossa il campo di sterminio di Auschwitz, le vittime dell’Olocausto: il genocidio nei confronti degli ebrei europei e di tutte le categorie di persone ritenute dai nazisti e dai suoi alleati fascisti “indesiderabili” o “inferiori” per motivi politici o razziali.

In Italia, la legge che riconosce il “Giorno della Memoria” è stata approvata il 20 luglio 2000, per “Ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subito la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita, protetto i perseguitati….”.

Per condividere insieme questo importante avvenimento mi sembra opportuno farlo ricordando il monito che il grande giurista e letterato Piero Calamandrei aveva rivolto, nel 1955, agli studenti milanesi:

“Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa costituzione! Dietro ad ogni suo articolo voi dovete vedere, o giovani, giovani come voi, caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di città, per le strade di paesi, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta. Questo è un testamento di centomila morti.

Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione”.

Memori di quel monito, nel giugno del 2019, con alcuni amici e compagni, tra cui Giordano Bruschi il partigiano Giotto, siamo andati “in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione” per visitare il campo di sterminio di Mauthausen (nelle vicinanze di Linz, in Austria) e i suoi sottocampi di Gusen e di Ebensee, e il castello delle torture di Hartheim.

Abbiamo fatto quel viaggio, organizzato dalla sezione dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia dell’Ansaldo Energia, per ricordare e onorare la memoria delle tante migliaia di italiani morti in quei campi di lavoro e di sterminio che il regime nazista aveva realizzato dal 1938 in poi.

Mauthausen è stato uno dei più terribili campi di sterminio nazisti. Era infatti un campo di punizione e di annientamento dei deportati (partigiani, prigionieri politici, ebrei e cittadini comuni) attraverso il lavoro forzato. I prigionieri dovettero fare fronte a condizioni di detenzione inumane, e lavorare come schiavi nelle cave di granito. Nella tremenda “scalinata della morte”, in migliaia trovarono la morte. La scalinata, con i suoi 186 scalini: tutti sconnessi e ripidi, che i deportati erano costretti a salire trasportando i sassi di granito, allineati per cinque, così vicini e appiccicati uno all’altro in modo che se uno cadeva trascinava con sé i compagni. Ed era veramente una cosa raccapricciante vedere quel macello: uomini e donne che rotolavano e, mentre il sangue scorreva giù dai gradini, gli aguzzini si mettevano a urlare e a percuotere brutalmente i prigionieri per rifare “ordine”. Le violenze, le brutalità, le punizioni disumane, la fame e le uccisioni costituivano elementi essenziali della vita quotidiana a Mauthausen; mentre le uccisioni avvenivano attraverso le violenze dirette delle SS, le impiccagioni, le fucilazioni, le iniezioni al cuore, gli avvelenamenti e infine con il gas. Degli oltre 190.000 persone che secondo alcune stime sono state deportate, dall’agosto 1938 fino alla sua liberazione (maggio 1945), a Mauthausen, Gusen e negli altri campi-satellite, morirono almeno 90.000 prigionieri; la metà dei quali morirono durante i quattro mesi precedenti la liberazione. Oltre 10.000 di loro furono uccisi nella camera a gas presente nel centro del campo.

Mauthausen era il campo dove fu spedita, dall’ottobre 1943 fino al giugno del 1944, la maggior parte dei prigionieri politici e cittadini ebrei internati nel campo di smistamento nazifascista di Fossoli (Carpi-MO), dove furono deportati oltre 5.000 italiani, molti dei quali erano genovesi. A Mauthausen sono stati deportati nell’aprile del 1944 anche 187 partigiani e civili catturati dai nazifascisti a seguito del rastrellamento sul monte Tobbio (appennino ligure-alessandrino), dei quali solo 35 sono stati i sopravvissuti, durante il quale ci fu l’eccidio nazifascista della Benedicta con l’uccisione di 154 partigiani. Il maggior numero di genovesi deportati in quel lager è stato comunque quello del 16 giugno 1944 quando furono deportati, con due treni composti da 43 carri merci, ben 1.488 lavoratori rastrellati durante il lavoro negli stabilimenti del ponente genovese: Siac di Cornigliano, San Giorgio, Piaggio, Cantiere navale Ansaldo di Sestri. Anche tra loro pochi sono stati quelli ritornati alle loro case.

Dei circa 6.000 italiani deportati a Mauthausen molti sono stati destinati in seguito, oltre che in altri campi, nel vicino sottocampo di Gusen, ricordato come “Il cimitero degli Italiani”, per via dell’alto numero che ci perdettero la vita. Gusen, che insieme ad Ebensee, è stato uno dei più importanti sottocampi di Mauthausen, è stato cimitero e luogo di tortura per migliaia di italiani. È stato utilizzato dai nazisti tra il 1940 e il 1945 per far lavorare forzatamente nelle cave di granito i deportati da diversi Paesi. Oltre 37.000 persone sono state incenerite nei crematori di Gusen 1 e di Gusen 2. I deportati erano rinchiusi in baracche sigillate o in un autobus che faceva la spola fra Mauthausen e Gusen, nel quale veniva immesso gas velenoso. Distrutto dalle autorità locali dopo la fine della guerra, in seguito una parte del territorio, dove c’era un forno crematorio, è stato acquistato dalle Associazioni di ex deportati di alcuni Paesi, tra cui l’Italia, e oggi è luogo del Memorial di Gusen.

Il sottocampo di Ebensee era stato costruito all’interno di una montagna coperta da alberi dove, attraverso quasi 8 Km di gallerie, i nazisti volevano costruire col lavoro forzoso e in condizioni di lavoro inimmaginabili, il missile A4 denominato V2. Fallito il progetto, in seguito venne realizzata una raffineria per la produzione di benzina e per altre forniture per una fabbrica esterna.

Hartheim è un castello dove dal 1940 il regime nazista dette vita ad uno dei centri di sterminio del ”Progetto eutanasia” per l’eliminazione dei prigionieri provenienti dai vicini campi di concentramento e dichiarati “inadatti” o non più “idonei” al duro lavoro dei campi. Il programma si abbatté quindi su persone ammalate, ferite o anziane, ma non solo: vennero dichiarati malati anche gli oppositori politici e detenuti a vario titolo. Tra il 1940 e il 1944 vennero assassinate ad Hartheim circa 30 mila persone, fra i quali 300 italiani. 12 mila prigionieri uccisi ad Hartheim erano provenienti dai campi di Mauthausen, Gusen, Dachau, Ravensbruck e da altre località.

Durante la visita a Mauthausen, tra le altre attività, è stata deposta nel Mausoleo del campo una targa dei lavoratori dell’Ansaldo Energia in ricordo dei deportati dalle fabbriche genovesi. Alla fine della visita ai luoghi della memoria visitati, la cosa che ha lasciato i partecipanti al viaggio perplessi e amareggiati è stata la mancanza di sensibilità civile e umana, o forse la voglia di dimenticare ciò che quei luoghi rappresentavano, dimostrata dagli amministratori pubblici con la distruzione dei “campi”. Infatti, mentre a Gusen l’unico segno rimasto di quello che era stato il lager è il Mausoleo realizzato dalle Associazioni di ex deportati; a Ebensee sono state eliminate tutte le “baracche” dove pernottavano i deportati; e su quei territori sono state edificate delle abitazioni, e l’unico sito che ricorda quei terribili eventi è il cimitero realizzato dai diversi Paesi dei deportati, attorniato da villette con vista sul cimitero e sul forno crematorio! Memoria dispersa!

“Ricordare per non dimenticare” è il monito comune che i superstiti dell’Olocausto hanno continuamente pronunciato. È per questo motivo che celebrando il “Giorno della Memoria” a me sembra opportuno e doveroso ricordare ciò che è stato quel terribile periodo storico e ciò che di attuale rappresenta la nostra Costituzione. E ciò perché, come diceva Piero Calamandrei, la Costituzione della Repubblica Italiana è nata anche nei campi di concentramento nazisti dove furono trucidati migliaia di italiani di ogni età, di ogni ceto sociale, di ogni fede religiosa o credo politico. E parlando dei valori contenuti nella Costituzione, Calamandrei diceva: “Quando si riferisce ai rapporti civili e politici, ai diritti di libertà in essa riportati, non si può ignorare la situazione italiana esistente prima della Repubblica, quando tutte le libertà che sono elencate e riaffermate solennemente nella Costituzione erano sistematicamente disconosciute. E ha ancora un grade valore la sua considerazione sulla libertà. […] La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica, l’indifferentismo, che è spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani”.

Ricordiamo quindi e onoriamo il “Giorno della Memoria” con un pensiero rivolto a tutti coloro (deportati, partigiani, detenuti politici e quanti altri) che sono morti per la libertà della quale tutti ne godiamo e per la quale dobbiamo impegnarci, quotidianamente, col pensiero, con le parole e con le azioni per difenderla e per migliorarla.