di Marco Galaverna
Insediamento agricolo attestato storicamente dal secolo XI, Novi Ligure appartenne prima ai Marchesi di Monferrato, poi ai Visconti di Milano, per poi entrare nel 1447 a far parte della Repubblica di Genova. Il lungo sodalizio con la Superba subì una discontinuità, almeno sul piano istituzionale, in seguito al Congresso di Vienna, allorché, nel clima della Restaurazione, il Regno di Sardegna si vide attribuire i territori dell’attuale Liguria e, successivamente, allargò i confini della provincia di Alessandria per annettervi un comprensorio situato grosso modo tra la val Borbera e la valle Stura.
Vari centri abitati, come Cabella, Parodi, Rocchetta, che oggi, pur trovandosi in Piemonte, nel proprio toponimo recano l’appellativo di Ligure, richiesero e ottennero dal Regno Sabaudo tale integrazione del nome come riconoscimento del secolare legame che li avvicinava più a Genova che alla capitale subalpina; e fra quelli Novi, il centro più popoloso e importante.
Raggiunta dai binari provenienti da Torino nel 1850, la stazione di Novi Ligure divenne un nodo ferroviario con la costruzione del collegamento verso Tortona, che rese possibile l’istradamento dei convogli fra Genova e Milano. Mentre veniva realizzata la linea Succursale dei Giovi (1884 – 1889), in risposta alla crescente domanda di trasporto merci originata dal porto di Genova, in località San Bovo prendeva forma una grande stazione di smistamento, nella vasta area compresa nell’angolo disegnato dai tracciati delle linee da Novi Ligure verso Alessandria e verso Tortona. L’impianto avrebbe poi ospitato anche un Deposito Locomotive.
Quanto fosse e, pur con tutte le trasformazioni socioeconomiche nel frattempo avvenute, sia ancora oggi strategico per il traffico merci quel territorio di confine tra Piemonte e Liguria lo dimostra il fatto che, nel raggio di una ventina di km, si trovano tre impianti di grandi dimensioni come l’interporto di Rivalta e le stazioni di smistamento di Alessandria e di San Bovo, con gli scali annessi.
Il locale Deposito Locomotive, invece, col tempo perse importanza. Nel maggio 1986 vi erano assegnate soltanto cinque elettromotrici, dei Gruppi ALe 790/880, sei locomotive E.626 e undici E.636 [1]. Successivamente l’impianto fu chiuso.
In precedenza, il Deposito di Novi San Bovo era diventato soprattutto un luogo di accantonamento di materiale fuori uso: file interminabili di decine e decine di locomotive trifasi e anche a vapore. Vi erano poi ospitati alcuni mezzi destinati al Museo di Pietrarsa, circostanza che mi invogliò a una prima visita nel 1979.
All’epoca, i treni passeggeri tra Novi e Tortona erano frequenti e vi si aggiungevano le “corsette” Novi – Pozzolo – Novi, probabilmente un record di brevità di percorso: cinque km all’andata e cinque al ritorno. Il comune viaggiatore in partenza da Novi Ligure poteva raggiungere San Bovo, col biglietto per Pozzolo, comunicandolo al capotreno, che disponeva così per la fermata a richiesta, neppure riportata sugli orari per il pubblico.
Le locomotive trifasi che vi trovai erano in cattivo stato: si veda la E.431 della mia foto; ad ogni modo esse furono poi restaurate per l’esposizione museale.
Tutto sommato parevano conservate meglio le macchine a vapore. Oltre a varie 835 erano ospitate due rare locomotive tender a quattro assi dei Gruppi 895 e 896. Ma ciò che mi stupì fu la presenza di un paio di macchine a vapore funzionanti, e non per treni speciali. Una 740 andava avanti e indietro per il Deposito, confondendo il suo fumo con la nebbia dell’inverno padano. In un contesto di linee ferroviarie tutte elettrificate, l’impiego di locomotive a vapore appariva insolito. Non ebbi la possibilità di appurarlo ma forse, in assenza di mezzi più moderni, l’impianto manteneva in funzione le macchine a vapore in migliori condizioni per le manovre interne che, data la vastità del sito, non dovevano essere di poco conto.
Si trattò di una visita che, nel volgere di pochi anni, sarebbe divenuta irripetibile ed è un vero peccato che le brutte condizioni atmosferiche abbiano in quell’occasione assai penalizzato le riprese fotografiche.
[1] “Dove e quante”, Rubrica della Rivista VOIES FERREES ed. italiana, n. 29, 1986.
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Marco Galaverna
Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.