di Marco Galaverna
Ancora di recente la stampa specializzata ha riproposto una questione terminologica: se i mezzi di trazione in grado di marciare con diversi sistemi di trazione elettrica siano più correttamente indicati come politensione o policorrente.
Premesso che le parole sono importanti, e che non s’intende qui sminuire l’argomento, dal punto di vista elettrotecnico occorre considerare che, sulla linea di contatto, a ogni tipo di tensione corrisponde un ben definito tipo di corrente e viceversa: se è continua la tensione, lo sarà anche la corrente e lo stesso vale per l’alternata; in più, in questo caso, corrente e tensione di linea hanno per forza la medesima frequenza.
Io sono favorevole al termine più comprensivo di mezzi polisistema, dal momento che si parla di sistemi di trazione elettrica.
Negli ultimi vent’anni, le politiche a favore dell’integrazione e l’apertura del mercato dei trasporti su rotaia agli operatori internazionali hanno accresciuto l’interesse verso le comunicazioni fra i Paesi membri dell’Unione Europea. La riduzione e, in qualche caso, l’eliminazione dei controlli doganali, prevista dall’Accordo di Schengen, esteso all’Italia nel 1997, hanno eliminato una causa della sosta dei treni alle stazioni di confine. Di conseguenza, i vincoli tecnici che imponevano, alle frontiere, il cambio dei mezzi di trazione e del personale di condotta sono apparsi un ostacolo alla libera circolazione di merci e viaggiatori, e da qui lo sviluppo di treni polisistema ha acquisito nuova rilevanza.
In questo scenario, si è perso un po’ di vista il fatto che i mezzi polisistema sono nati molto prima dell’Unione Europea e non soltanto per le comunicazioni internazionali (come il caso dei lussuosi Trans Europ Express, dagli anni Sessanta) ma soprattutto per superare i problemi derivanti dalla coesistenza di sistemi diversi di trazione elettrica all’interno di uno stesso Paese.
In Italia, nel periodo della conversione della rete ferroviaria ligure e piemontese dal sistema trifase a quello in continua, le FS realizzarono complessi costituiti da un’elettromotrice ALe 840 e una rimorchiata Lebc 840, equipaggiata di pantografi per la linea bifilare trifase e raddrizzatori di bordo [1]. Questi complessi, in grado di marciare con entrambi i sistemi di trazione elettrica, furono sempre chiamati bicorrenti. Inoltre, per consentire il transito dei treni di materiale ordinario, merci o passeggeri, nelle stazioni di confine fra i due diversi sistemi di elettrificazione, come ad Alessandria, si impiegarono coppie fisse di una locomotiva a corrente continua e di una trifase, ad esempio una E.626 più una E.554, che erano dette coppie anfibie.
Oggi l’aggettivo anfibio ha un altro significato ed è per lo più usato per quei veicoli, destinati alle manovre o alle attività di cantiere, in grado di muoversi tanto su rotaia, utilizzando ruote metalliche dotate di bordino, quanto su strada, ovvero pista di asfalto o cemento parallela al binario, grazie ad altre ruote gommate.
Invece, per indicare mezzi di trazione in grado di captare energia elettrica da conduttori di contatto ma dotati anche di propulsore diesel per la marcia autonoma, si usano i termini ibrido e bimodale. Il primo è fuorviante e, in campo ferroviario, andrebbe evitato perché nel settore automobilistico esso si riferisce a un tipo di motorizzazione in cui due propulsori, uno termico e uno elettrico, possono essere contemporaneamente attivi, cosa che non avviene su rotaia.
Più corretto sembra l’aggettivo bimodale, che oltre alle locomotive si riferisce pure ai filobus moderni, dotati di motore diesel per i movimenti in rimessa e per le emergenze. Invero l’aggettivo bimodale è riferito pure ai carri merci, con tutt’altro significato. Le locomotive bimodali sono state rarissime fino a pochi anni fa ma oggi destano un certo interesse, per un segmento del mercato dei trasporti che potremmo definire “di nicchia”, e meriterebbero una futura pagina della nostra rubrica.
In figura, lo schema di un azionamento degli anni Sessanta per locomotive francesi in grado di marciare sotto linee in c.c. e in c.a.
[1] F. Spani, “La trazione elettrica“, vol. 1, Patron, 3a edizione, 1962.
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Marco Galaverna
Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.