di Marco Galaverna 

Sfogliando un libro sulla storia delle ferrovie francesi, stupisce la grande evoluzione tecnica che nel Paese d’oltralpe ha avuto la locomotiva a vapore, la quale sui binari italiani si è invece avviata sul viale del tramonto relativamente presto, soprattutto per effetto del precoce impulso dato alla trazione elettrica.

Negli anni della Seconda Guerra Mondiale, gli Stati Uniti d’America trasferirono in Europa numerose locomotive a vapore di nuova costruzione. In Italia, queste macchine ebbero una vita relativamente breve e un ruolo di secondo piano nella ricostruzione postbellica, anche perché gli sforzi furono concentrati nella riattivazione della trazione elettrica, nella convinzione quasi generale che da noi la fine della trazione a vapore non fosse lontana.

Tutt’altra storia in Francia: dagli Stati Uniti vi furono consegnate 1323 locomotive a vapore, numero di per sé impressionante e superiore alla consistenza di qualunque serie di macchine costruite in Italia, che andarono a costituire il gruppo 141R delle SNCF. Queste locomotive, pur concepite in tempo di guerra, avevano prestazioni di tutto rispetto: 105 km/h di velocità massima e una potenza di 2150 kW, più o meno il doppio delle più grosse locomotive a vapore italiane. Con le 141R la percorrenza media delle locomotive a vapore in Francia passò da 75 km/giorno a 200 km/giorno. Si è stimato che, negli anni Cinquanta, le 141R assicurassero il 44.8% del traffico ferroviario francese in termini di tonnellate [1].

Sebbene le prime elettrificazioni a 1500 V in corrente continua, fra le quali va citata per la rilevanza storica quella della Paris – Vierzon, avessero dagli anni Venti dato buoni risultati, i tecnici francesi a lungo ritennero che la trazione a vapore avrebbe conservato un ruolo di primo piano. In questa considerazione entravano fattori geografici: da Parigi si diramano lunghe linee ferroviarie per lo più pianeggianti, sulle quali le grandi vaporiere a ruote alte si lanciavano a velocità impensabili sui nostri Appennini.

Il divario in termini di prestazioni, fra trazione elettrica e trazione a vapore, in quelle condizioni non era così ampio come da noi: si pensi che già nel 1941 le francesi 141P raggiungevano il traguardo dei 3000 CV (all’epoca il CV, cioè il cavallo vapore, era l’unità di misura più usata per la potenza; 3000 CV corrispondono a circa 2200 kW). Si aggiunga che i binari francesi erano mediamente più robusti di quelli italiani, e quindi consentivano la circolazione di mezzi più grossi e pesanti.

Ma dietro a questi numeri c’è un uomo: André Chapelon, ingegnere sostenitore del vapore, che col suo prestigio personale segnò la storia delle ferrovie francesi. Contro l’approccio empirico che al tempo caratterizzava il progetto delle locomotive, Chapelon, esperto di termodinamica cresciuto all’École centrale, intese applicarvi il rigore scientifico. Inizialmente si rivolse al miglioramento di macchine esistenti e, mediante l’aumento della temperatura del vapore da 300 °C a 400 °C e la modifica dello scappamento, ottenne riduzioni del consumo d’acqua del 30% e di carbone del 20% nonché un aumento di potenza strabiliante: da 2000 a 3600 CV sulle “Pacific” Paris – Orléans.

Successivamente, negli anni Quaranta, egli elaborò un piano per il rinnovamento del parco vapeur: propose la costruzione di nuove locomotive a vapore per treni merci con quattro o cinque assi motori, capaci di trainare treni di 2000 t a 70 o 90 km/h, locomotive veloci con quattro assi motori, in grado di trainare convogli passeggeri da 950 tonnellate a 120 km/h e locomotive a vapore con rodiggio 2-3-2 atte ai 200 km/h. Con le innovazioni tecniche, secondo Chapelon, per svolgere la totalità dei servizi sarebbe stato sufficiente un parco macchine dimezzato.

Nonostante queste previsioni e nonostante che, nel Regno Unito, una locomotiva a vapore effettivamente avesse superato il muro dei 200 km/h, dimostrando le potenzialità di quel sistema di trazione, il fattore economico divenne predominante e il programma di Chapelon rimase sulla carta. Nella seconda metà degli anni Cinquanta, le locomotive Diesel promettevano interessanti economie d’esercizio: richiedevano minori oneri di manutenzione e non necessitavano del mantenimento dell’accensione notturna.

E così l’epica della locomotiva a vapore si chiuse anche in Francia, dove essa aveva raggiunto un perfezionamento tecnico da noi sconosciuto.

[1] C. Lamming, “L’age d’or de la traction vapeur en France”, ed. Atlas 2006.
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