di Marco Galaverna
Nella fotografia, due locomotive E.444 sono ferme sul binario 17 di Genova Piazza Principe, in attesa di riprendere servizio: una scena che in un futuro prossimo potrebbe non ripetersi più, dal momento che per queste macchine si avvicina la fine della carriera. Infatti, un po’ per l’aumento dei servizi svolti con le “Frecce”, un po’ per la disponibilità di macchine più recenti, Trenitalia ha sospeso gli interventi di manutenzione più impegnativi sulle E.444, le quali saranno quindi ritirate man mano che giungerà la scadenza delle revisioni periodiche.
È l’occasione per ricordare l’importanza di queste locomotive nella storia della trazione elettrica italiana. Concepite negli anni Sessanta dall’Ufficio Studi FS di Firenze, le E.444 rappresentarono una discontinuità rispetto ai precedenti schemi progettuali, che tendevano a privilegiare la soluzione a sei assi. Il perfezionamento tecnologico raggiunto dai motori a corrente continua consentiva di realizzare una locomotiva a quattro assi, e a quattro motori, con le stesse prestazioni delle locomotive a sei assi allora in produzione.
Ai quattro prototipi costruiti fra il 1967 e il ’68 seguirono 110 unità di serie, uscite di fabbrica fra il 1970 e il ’74, cui fu presto attribuito il soprannome di “Tartarughe”, forse per un simpatico contrasto con la loro velocità massima, fissata a 200 km/h, che le rendeva le locomotive più veloci delle ferrovie italiane.
I motori, del tipo T.750, erano tarati per una potenza oraria di 1100 kW e consentivano a queste locomotive di eguagliare, in termini di prestazioni, le più brillanti realizzazioni europee dell’epoca, beninteso nel campo del sistema a corrente continua. In Francia, le locomotive a quattro assi avrebbero raggiunto una potenza superiore alle Tartarughe soltanto con la regolazione elettronica a tiristori, che Oltralpe si affermò con alcuni anni d’anticipo rispetto all’Italia, agevolata dalla minore tensione al filo di contatto, 1500 V in luogo dei nostri 3000 V.
Con le E.444, l’evoluzione della trazione elettrica italiana si avvicinava a quella francese non soltanto per lo schema a quattro assi monomotori ma anche per la trasmissione ad anello danzante. Il pieno utilizzo della notevole potenza dei motori T.750 era favorito da soluzioni tecniche che caratterizzavano le Tartarughe come macchine innovative: il dispositivo elettrico di antislittamento, il dispositivo statico di anticabraggio, la fine suddivisione del reostato in un gran numero di sezioni e l’elevato grado di indebolimento di campo.
A prescindere dagli elementi meccanici (carrelli, sospensioni, smorzatori), un limite alla velocità massima di una locomotiva elettrica è posto dalla forza centrifuga agente sugli indotti dei motori: per questo motivo, i motori delle Tartarughe di serie furono ridisegnati, aumentandone la lunghezza e riducendone il diametro, rispetto al quale la forza centrifuga cresce proporzionalmente.
L’elevata qualità complessiva di queste macchine fu messa in luce anche dagli esperimenti che le FS condussero negli anni Settanta per esplorare le potenzialità della regolazione elettronica. Le E.444.056 e 057 ricevettero un frazionatore a tiristori (“shunt chopper”) in luogo dei normali contattori, per la graduazione del reostato; ma la modifica più importante riguardò la E.444.005, sulla quale il reostato d’avviamento fu sostituito da un frazionatore elettronico in serie ai motori (“full chopper”), col quale si ottenne un aumento del potere aderente, da cui dipendono la forza di trazione e la potenza. Nelle prove in linea, la E.444.005 fece registrare una potenza oraria di 5050 kW, valore che negli anni Settanta, per una locomotiva a quattro assi in corrente continua, era davvero ragguardevole a livello europeo.
Gli ottimi risultati ottenuti con la E.444.005 aprirono la strada alle locomotive elettroniche della generazione successiva, le “Tigri” E.632/633, che fanno storia a parte. Restando al nostro tema, salutiamo le Tartarughe, ottime locomotive che hanno dato il meglio di sé soprattutto sulle linee di pianura, a 180 km/h in testa a treni Intercity, un tempo Rapidi e TEE, ma che si sono pure fatte apprezzare, a velocità inferiori, su percorsi misti come quello della relazione Milano – Genova – Ventimiglia.
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Marco Galaverna
Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.