Di Giovanni Bozzano
LA VECCHIA LINEA DEI GIOVI
Quando Cavour alla metà del XIX secolo progettò la linea Torino Genova, preoccupato per la pendenza del 35 per mille di alcuni tratti tra Pontedecimo e Busalla, interpellò direttamente la Compagnia ferroviaria degli Stephenson per essere confortato sulla possibilità di gestire con locomotive a vapore una così impervia salita, ma questa non volle assumersi la responsabilità di una risposta affermativa, nonostante abbia poi fornito le prime macchine, i famose “mastodonti”. Per superare la pendenza furono esaminate varie tecniche tra quelle allora conosciute, quali l’impiego di funicolari ad acqua o di funi azionate da motori fissi, come era stato fatto a Liegi, ma furono tutte scartate perché avrebbero comportato un eccessivo allungamento dei tempi di percorrenza e perché la tortuosità della linea avrebbe determinato problematiche al tiro delle funi con inaccettabili perdite di potenza nella trasmissione del moto. Fiducioso nelle capacità dei suoi tecnici e del ministro Paleocapa, diede comunque corso al progetto ipotizzando di poter gestire la pendenza con due locomotive a due assi accoppiate, infatti i risultati gli diedero ragione. L’esercizio con la trazione a vapore proseguì per tutta la seconda metà del 1800 ma nonostante nel frattempo fossero entrate in esercizio nuove locomotive i treni in salita non riuscivano a superare i 25 Km/h; in oltre il ristagno dei fumi nella galleria dei Giovi costituiva un problema sempre più serio, in particolare a seguito dell’incidente del 1898, quando persero i sensi il fuochista ed i frenatori di un treno merci che, abbandonato a se stesso, retrocedette e si scontrò con un viaggiatori presso Piano Orizzontale. Nel frattempo il traffico delle merci generato dall’attività del porto di Genova stava portando la tratta alla saturazione nonostante che dal 1889 fosse entrata in esercizio la linea Succursale.
LE IPOTESI PER L’ELETTRIFICAZIONE DELLA TRATTA
Per superare le difficoltà ed individuare gli interventi atti a consentire l’ulteriore incremento del traffico merci, nel 1903 venne istituita una apposita commissione che subito bocciò la proposta che era stata avanzata dalla società ferroviaria del Mediterraneo, gestore della linea, di elettrificare la tratta col sistema a corrente continua con terza rotaia, sperimentato con successo in Lombardia su tratta con traffico leggero. La commissione chiese che fossero eseguiti esperimenti sulle linee della Valtellina, già elettrificate a 3 kV trifase, con l’obbiettivo di verificare l’efficienza della doppia trazione, sia per quanto riguardava gli accordi tra il personale di condotta che per la ripartizione dei carichi. Infatti la differenza del diametro delle ruote delle due macchine, dovuto all’usura ed alle diverse torniture dei cerchioni, si traduceva in una differente velocità dei rispettivi motori e quindi in una disomogenea distribuzione dei carichi, tanto che, per forti squilibri, i motori della macchina con le ruote più piccole avrebbero potuto invertire il funzionamento generando corrente a scapito dello sforzo dell’altra. Gli esperimenti diedero esito positivo in quanto evidenziarono che l’inconveniente poteva essere facilmente evitato lasciando inserita nei circuiti secondari dei motori una piccola resistenza del reostato di avviamento nella macchina con le ruote più grandi nelle salite e nell’altra nelle discese.
Nel frattempo all’estero stavano nascendo linee alimentate a corrente alternata monofase: In Svizzera ed in Germania, dove il sistema è in uso ancora oggi, erano in costruzione tratte a 15 kV e 16,7 Hz, mentre in alcune ferrovie americane veniva impiegata la tensione di 11 kV alla stessa frequenza. Si ritenne però che, per le caratteristiche della nostra linea, il sistema trifase fosse comunque il più vantaggioso; serviva infatti una buona potenza che poteva essere raggiunta con la trazione multipla, d’altro canto, a causa della tortuosità, non erano considerate determinanti né la velocità né l’accelerazione. In oltre nei tratti in discesa i motori trifasi erano in grado di invertire il funzionamento trasformandosi in generatori consentendo non solo il recupero di energia ma determinando anche un risparmio sull’usura del sistema frenante.
Nel 1905 l’esercizio delle ferrovie italiane fu assunto direttamente dallo Stato sotto la responsabilità del Ministero dei Lavori Pubblici, tramite un’apposita amministrazione Autonoma alla cui direzione fu posto l’ing. Riccardo Bianchi, che, confortato dalle indicazioni della commissione, decise di utilizzare il sistema trifase a 3 kV e 16,7 Hz, da allora denominato “sistema italiano”. Nel 1907 furono assegnati all’Amministrazione Ferroviaria dei fondi per lo sviluppo delle linee che vennero destinati ad estendere l’elettrificazione, proprio ad iniziare dalla tratta dei Giovi e fu posta la condizione che sia i mezzi sia gli impianti fissi fossero costruiti in Italia.
LO STABILIMENTO DI VADO LIGURE E L’ING. KALAMAN KANDO’
Nel 1906 venne costituita la “Società Italiana Westinghouse” che provvide ad erigere a Vado Ligure uno stabilimento particolarmente attrezzato per la costruzione delle macchine trifasi. Lo stabilimento è ancora oggi all’avanguardia nel settore ferroviario e fa ora parte del gruppo canadese Bombardier. Allora la Società affidò la direzione tecnica della fabbrica all’ingegnere ungherese Kàlamàn Kandò che, con la Ditta Ganz di Budapest, aveva realizzato le macchine e gli impianti per la Valtellina ed è considerato il pioniere della trazione elettrica ferroviaria. Kandò era nato a Budapest nel 1869 e dopo la laurea in ingegneria lavorò qualche tempo in Francia dove collaborò allo sviluppo del motore ad induzione di Tesla. Rientrato in patria si dedicò alla trazione elettrica trifase, attività che dal 1906 continuò nello stabilimento di Vado fino alla prima guerra mondiale, quando tornò in Ungheria. Dopo un breve servizio nell’esercito rientrò alla Ganz come direttore tecnico e successivamente come direttore generale, continuando gli studi sulla trazione elettrica, questa volta però utilizzando la corrente alternata monofase 15 kV a frequenza industriale e realizzò con tale sistema la linea Budapest – Hegyeshalom, attivata nel 1931, stesso anno della sua morte. Al contrario di lui, i tecnici ungheresi che lo avevano seguito a Vado, non riuscirono a rimpatriare, pertanto all’inizio del conflitto furono internati in Sardegna in qualità di sudditi nemici e, finita la guerra, furono riassunti dalle officine italiane dove contribuirono ancora allo sviluppo della trazione elettrica.
VADO PRODUCE LE PRIME LOCOMOTIVE ELETTRICHE
Alla Westinghouse furono commissionate 40 locomotive del gruppo 050, successivamente rinominate E550 e conosciute come “Muli dei Giovi”. La loro costruzione continuò fino al 1921, e complessivamente ne furono realizzate 186; pesavano 63 tonnellate e la velocità massima omologata era di 50 km/h. Avevano cinque assi accoppiati tramite biella motrice azionata da una coppia di motori che potevano essere collegati in cascata per l’avviamento e per la marcia a velocità dimezzata o in parallelo per la velocità più alta. I tre assi centrali erano a passo rigido, mentre i due estremi erano in grado di scorrere lateralmente di 20 mm per iscriversi meglio nelle curve; per lo stesso motivo le ruote centrali non avevano il bordino. Erano dotate di freno ad aria compressa continuo automatico, di moderabile e di freno a mano ed erano attrezzate con un dispositivo di comando multiplo per la doppia trazione, purché in composizione adiacente, attraverso il quale era possibile governare entrambe le macchine operando da una sola di esse. Tale dispositivo, realizzato dallo stesso Kandò, trovò però scarso utilizzo in quanto la seconda locomotiva veniva normalmente disposta in coda per non superare lo sforzo ammesso ai ganci, quindi fu successivamente rimosso.
L’ELETTRIFICAZIONE DEL NODO DI GENOVA
Già dal 1908 ebbero inizio i lavori per la costruzione della centrale termica della Chiappella, delle sottostazioni di trasformazione e delle linee primaria e secondaria. La linea primaria originaria collegava Genova a Ronco ed era alimentata dalla Chiappella alla tensione di 16 kV. Nel 1914 è stata integrata con due cavi trifasi realizzati dalla Pirelli a 30 kV posati tra Ronco e Sampierdarena, della sezione di 50 mmq, isolati in carta e protetti in guaina di piombo, atti a resistere fino alla tensione di 120 kV, dei quali è doveroso parlare perché all’epoca costituivano un’avanguardia tecnologica.
Il 1° Marzo 1911 cessò la trazione a vapore tra Pontedecimo e Busalla e tutti i treni, merci e viaggiatori, furono realizzati con trazione elettrica con notevole vantaggio per la circolazione tanto che la potenzialità della linea subì un repentino incremento valutato nel 57%. Infatti, essendo la nuova velocità della linea di 45 km/h in entrambi i sensi, la velocità commerciale passò immediatamente dai precedenti 20 Km/h circa a 39 km/h; in oltre il peso rimorchiabile in doppia trazione elettrica arrivò a 380 tonnellate contro le 310 di una coppia di locomotive a vapore.
I lavori per l’elettrificazione del Nodo di Genova proseguirono alacremente tanto che nell’ottobre dello stesso anno fu attivata tra Pontedecimo e Campasso, mentre raggiunse Sampierdarena a Settembre del 1913. A maggio del 1914 fu attivata sulla Savona – Ceva e nel settembre 1916 sulla Genova – Savona, mentre nel 1917 fu elettrificata la Succursale.
Bibliografia:
“Storia della trazione elettrica ferroviaria in Italia” di Mario Loria;
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