E.665

di Marco Galaverna

A metà degli anni Ottanta, le FS diedero un notevole impulso al programma di ammodernamento del parco trazione. Con il supporto dell’industria privata, l’Ufficio Studi di Firenze avviò la progettazione di quattro tipologie di mezzi:

  1. le locomotive “monocabina” E.453/454, cui si dedicò una pagina web della presente rubrica lo scorso mese di febbraio, effettivamente realizzate in cinque prototipi, che circolarono per qualche anno fino al precoce accantonamento;
  2. le locomotive E.402, potenti e veloci, eredi delle “Tartarughe”, costruite in 40 unità subito entrate in servizio, che oggi passano gradualmente in officina per un importante intervento di rinnovo, in seguito al quale avranno una sola cabina aerodinamica e saranno destinate agli Intercity reversibili;
  3. le locomotive E.491/492, dalla storia curiosissima: previste per l’elettrificazione, in corrente alternata monofase, della ferrovia dorsale sarda, furono costruite in 25 unità ma non entrarono mai in servizio perché quella elettrificazione non fu eseguita e in Italia, all’epoca, non c’era alcuna altra linea alimentata in monofase sulla quale potessero funzionare;
  4. da ultimo, le misteriose locomotive E.665/666, rimaste sulla carta.

La caratteristica più interessante di questo piano di realizzazioni era la concezione modulare dei nuovi mezzi. I motori in c.c. e i carrelli delle E.453/454 erano gli stessi previsti per le locomotive E.491/492 e per le E.665/666. In più, le E 665/666 avrebbero avuto anche gli stessi convertitori elettronici, tipo chopper, delle E.453/454, di cui rappresentavano in pratica una versione a sei assi, sia pure con una cassa di disegno differente in quanto simmetrico.

Un altro dato in comune era costituito dal fatto che tutte queste locomotive erano concepite in due varianti: la versione “merci”, contraddistinta dal numero di Gruppo dispari, con velocità massima di 120 km/h, e la versione “passeggeri”, col numero di Gruppo pari e velocità massima di 160 km/h.

I dati di progetto indicano che le locomotive E.665/666, se fossero state realizzate, avrebbero avuto prestazioni superiori a qualsiasi altra locomotiva del parco FS: potenza continuativa 5400 kW, potenza oraria 6000 kW, corrente massima all’avviamento 1200 A.

Nel 1985 era data per certa la costruzione di cinque prototipi di queste potenti macchine, cosa che non avvenne mai. Eppure esse venivano descritte, fra i mezzi di imminente realizzazione, persino nella seconda edizione del libro di G. Vicuna, testo fondamentale nella cultura ferroviaria italiana [1]. Ne possediamo anche un figurino, qui riprodotto, da cui si vede che le macchine riprendevano l’estetica delle locomotive monofasi per la Sardegna, unita al rodiggio delle “Tigri” E.632/633 (cassa unica, cioè non articolata, su tre carrelli a due assi). La stampa specializzata non ha mai chiarito per quale motivo questo progetto sia stato abbandonato: possiamo azzardare delle ipotesi.

La prima osservazione che viene spontanea è la seguente: forse questi mezzi di trazione non sono stati costruiti perché, in quel momento, le FS non ne avevano bisogno. Ma la spiegazione non convince, se si osserva che, proprio in quegli anni, c’erano da sostituire le oltre duecento anziane locomotive E.428, che venivano ritirate dalla circolazione, e si prospettava anche l’accantonamento delle quattrocento E.626 d’anteguerra, cosa che in effetti avvenne nei primi anni Novanta. La necessità di nuove locomotive a sei assi è peraltro testimoniata dal fatto che la produzione delle tradizionalissime E.656 continuò fino al 1990 (serie longeva: la prima unità era uscita di fabbrica quindici anni prima!), cui fece seguito la costruzione delle “Tigri” potenziate, le E.652.

Le ragioni della mancata esecuzione di quel progetto sono quindi da ricercare altrove. Può essere stata un ostacolo la complessa trasformazione dell’assetto societario che le FS attraversavano in quell’epoca, con le inevitabili discontinuità nei vertici aziendali. Oppure possono aver pesato alcune scelte tecnologiche: si constatò forse che, con l’adozione degli azionamenti elettronici a inverter e motori asincroni trifasi, una locomotiva a quattro assi, più semplice e leggera, poteva raggiungere le stesse prestazioni di una locomotiva a sei assi, come insegnava l’esempio delle fortunate E.402; rispetto a queste, le misteriose E.665/666, che mai videro la luce, pesavano secondo il progetto ben trenta tonnellate in più.

 

[1] G. Vicuna, “Organizzazione e tecnica ferroviaria”, CIFI, 1986.
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Marco Galaverna

Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.