di Angelo Malaspina e Nadia Farneschi
Viene trattato di seguito un argomento che ha riscosso notevole successo nell’ambito del progetto Scuola Ferrovia, durante una relazione del gruppo del Dlf nelle scuole medie di Campomorone.
Il contesto
Alla fine del 1800 le linee ferroviarie avevano raggiunto uno sviluppo prossimo a quello attuale, mentre la trazione dei treni era esercitata esclusivamente con locomotive a vapore. In Italia il consumo di carbone per la trazione era notevole e i costi per il suo approvvigionamento pesavano non poco sui bilanci delle varie compagnie in cui era diviso il paese, anche in considerazione del fatto che doveva essere importato.
L’uso del carbone per la trazione a vapore non poneva solo problemi di costi, ma anche di sicurezza sia per i lavoratori (personale di condotta, frenatori, fuochisti), sia per i passeggeri. In un paese come l’Italia, dall’orografia complessa, che già all’epoca vantava un notevole numero di gallerie alcune delle quali con un tracciato caratterizzato da forti pendenze, i rischi erano notevoli e forse sottovalutati.
Nelle gallerie il fumo generato dalle locomotive ristagnava dopo il passaggio dei treni creando difficoltà di respirazione al personale e ai viaggiatori oltre che problemi di visibilità, in particolare nelle gallerie più lunghe e acclivi i fumi mescolati al vapore, creavano una patina viscida sulle rotaie che provocava lo slittamento delle ruote delle locomotive.
All’epoca per mitigare tali rischi furono individuate misure tecniche come l’individuazione di composti di carbone meno venefici e la realizzazione di pozzi di ventilazione e misure di circolazione come limitare sia la frequenza dei convogli per permettere la liberazione dei fumi, sia il peso dei treni merci per ridurre lo slittamento delle ruote, posizionare la locomotiva di rinforzo in coda, nel caso ci fosse bisogno di tre locomotive la sua posizione doveva osservare regole legate al peso e alla lunghezza del treno. Per limitare i rischi di avvenelamento del personale all’uscita del tunnel, a Pontedecimo o a Busalla, come per altre gallerie della rete, era somministrato “per servizio” un bicchiere di latte a scopo disintossicante.
Tali misure, per altro prese nel tempo e non in modo omogeneo, soprattutto sulla qualità del carbone che andava ad incidere sui costi, non furono sufficienti non solo ad alleviare gli enormi disagi al personale, ma neppure ad abbassare in modo significativo il livello di rischio e lo dimostrarono i diversi incidenti, alcuni anche molto gravi, che si verificarono e che nel tempo sono andati dimenticati. Per rispetto dei sacrifici di questi ferrovieri di oltre cento anni fa si riporta la cronaca del grave incidente che accadde sulla linea dei Giovi il giorno 11 di agosto dell’anno 1898.
Il fatto
Era una calda serata estiva quando un pesante treno merci con due locomotive, una in testa ed una in coda, percorreva la tratta Genova Pontedecimo-Busalla; sulla macchina di testa “Gerione“ del treno merci n. 3182, allora le locomotive erano ancora contraddistinte da un nome proprio, si trovava il macchinista Bruschelli.
All’ingresso della galleria dei Giovi, il treno aveva una velocità di circa 12 km/h, normale allora su questa tratta acclive al 35 per mille; ma subito all’interno la velocità diminuì; dalla locomotiva di coda, partì il fischio d’avviso che c’era qualcosa di anomalo.
All’interno del tunnel il treno si fermò per circa15 minuti, allo scopo di aumentare la pressione alla macchina di coda che slittava; poi i macchinisti delle due locomotive ripresero la corsa, ma il treno era “duro“ e si muoveva a stento.
A 250 metri dallo sbocco nord, il fuochista della locomotiva di testa cadde svenuto sul carbone del tender; allora il macchinista, senza potersene occupare, diede il massimo sforzo alla macchina ed alimentò lui stesso la caldaia, ma il treno continuò ad avanzare lentissimo, finché si trovò allo sbocco di Busalla.
La locomotiva di testa e due vagoni erano fuori dalla galleria ancora in salita, ma il treno rallentava ancora.
Bruschelli fischiò ai frenatori, ma questi non risposero: poi il treno si fermò, e quasi subito, per il suo peso, cominciò a retrocedere; egli fece nuovi richiami ai frenatori, ma di nuovo senza risultato.
Azionò allora anche il freno del tender, sperando che nella discesa i suoi colleghi tornassero in se, e l’aiutassero, poi continuò con il fischio di allarme.
Il macchinista Cardellino nella locomotiva di coda “Titano“ era svenuto e nulla poté per cercare di fermare il treno, la macchina che fu abbandonata a se stessa.
Bruschelli si era ormai reso conto del disastro che l’attendeva: fuori dalla galleria, quelli del personale, davanti a cui passava nella sua vertiginosa discesa, gli dicevano: “Buttati giù, che gli altri sono stesi sulla macchina!“ ma egli non abbandonò il fischio ed il regolatore della contropressione, per cercare di diminuire gli effetti di un urto che appariva ormai inevitabile.
Il treno merci a forte velocità andò a scontrarsi con un treno viaggiatori, sullo stesso binario, fermo a Piano Orizzontale in attesa da mezz’ora della via libera. L’urto fu terribile, diversi vagoni vennero distrutti.
Fra i rottami si contarono 12 vittime tra le quali 6 erano ferrovieri, molti di più furono i feriti.
Le cause
Le cause ufficiali del disastro furono attribuite al peso eccessivo del treno merci e alla precedente circolazione di treni, troppo intensa in relazione alla lunghezza della galleria (3.258 mt.) e, soprattutto, alla sua pendenza, una delle maggiori dell’intera Rete.
L’incidente destò grande sgomento allora su tutta l’opinione pubblica quando il treno era il mezzo di trasporto tecnologico per eccellenza e uno dei passeggeri, che miracolosamente riuscì a mettersi in salvo, riferì ad un cronista de Il Secolo XIX che: “… per il maledetto carbone usato da qualche tempo a questa parte dalla società ferroviaria, tutto il personale di macchina del treno merci è stato colto da asfissia assieme al frenatore che, cadendo dalla sua cabina soffocato dal fumo, ha lasciato il treno abbandonato a se stesso”..
Le vaporiere dell’epoca erano infatti da alcuni anni alimentate da una particolare mistura: le mattonelle di carbone. Si trattava di un composto formato da un impasto di pece, catrame e polvere di carbone che, se da un lato permetteva un notevole risparmio di “esercizio”, limitando i costi, dall’altro, durante la combustione, sprigionava esalazioni altamente venefiche.
I provvedimenti e gli sviluppi tecnologici
Il fatto approddò in Parlamento e sotto accusa finirono le mattonelle di carbone prodotte dalla Carbonifera di Novi Ligure di proprietà del conte Raggio. La decisione del Direttore Generale delle Ferrovie di acquistare direttamente carbone inglese di migliore qualità provocò la forte contrarietà del conte che vedeva sfumare i suoi guadagni; ma alla fine fu costretto a rimodernare i suoi impianti di produzione, reinvestendovi parte della sua enorme fortuna.
La società Mediterranea fu costretta, in collaborazione con l’università di Genova ad effettuare studi sugli effetti dei fumi e sulle metodologie per ridurli. Si dimostrò innanzitutto l’inefficienza dei pozzi di ventilazione nello smaltire i ristagni di fumi e si decise l’installazione di un sistema di ventilazione forzato all’imbocco sud del traforo.
Gli studi evidenziarono come i macchinisti fossero sottoposti nella galleria a temperature fino a 50°C e a valori di monossido di carbonio estremamente elevati, con effetti molto dannosi sulla salute oltre che sulla capacità di operare in sicurezza.
L’effetto più importante fu, tuttavia, il forte impulso dato all’elettrificazione della linea, fra le prime in Italia, ad essere elettrificata in corrente alternata trifase. La forte pendenza della tratta porterà, inoltre, allo studio e realizzazione di mezzi quali la locomotiva elettrica FS E.550 (detta il mulo dei Giovi) in grado di aumentare il carico utile sulla linea del 30% e a più che raddoppiare la velocità dei convogli.
Considerazioni
Gli incidenti dovuti al fumo purtroppo continuarono tuttavia a funestare il trasporto su rotaia in Italia e nel mondo; un analogo incidente avvenne in Svizzera nel 1926, fino al più grave di tutti avvenuto in Basilicata presso Balvano, nel 1944, dove a causa di un treno merci con trazione a vapore che si fermò nella galleria dell’Arma perirono per asfissia oltre 600 persone, tutti clandestini provenienti soprattutto dai grossi centri del napoletano, stremati dalla guerra, che nei paesi di montagna lucani speravano di poter acquistare derrate alimentari in cambio di sigari e caffè distribuiti dagli statunitensi.
Fu la maggiore sciagura ferroviaria della storia d’Italia, archiviata sul piano giudiziario come “sciagura per cause di forza maggiore”. Per spegnere sul nascere una vertenza che avrebbe potuto trascinarsi per anni, il Ministero del Tesoro sancì l’emissione di un risarcimento come se si trattasse di vittime di guerra (risarcimento che venne erogato dopo oltre 15 anni).
La parola fine alla catena degli incidenti dovuti al fumo provocato dalla trazione a vapore fu messa nei primi anni ’80 del secolo scorso, quando l’ultima locomotiva a vapore entrò a far parte dei mezzi d’epoca.
Sulle attuali linee non elettrificate circolano locomotive diesel nel pieno rispetto delle norme europee sulla sicurezza del lavoro.
Misure speciali vengono prese nei casi di lavori di manutenzione in galleria con l’uso di mezzi dotati di motori per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori.
Bibliografia:
“IL fumo, l’antico spettro delle gallerie” di Maurizio Panconesi
“Lo scandalo delle forniture ferroviarie e la questione del Terzo Valico” di Gian Battista Cassulo
“Il Treno 8017 Una Tragedia Dimenticata Balvano, 3 marzo 1944” di Salvatore Argenziano
e molti articoli riportati sul WEB alle voci incidente dei Giovi e incidente di Balvano.
Le fonti sono tutte concordi.
Nella foto una immagine dell’incidente dei Giovi ripresa il giorno successivo.
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Con il progetto Scuola Ferrovia il DLF intende divulgare nella scuola la conoscenza della ferrovia italiana, attraverso un rapporto costante e permanente con il mondo dei giovani.
l treno garantisce oggi più che mai il trasporto di grandi quantità di persone o di merci in condizioni di maggior sicurezza e maggior rispetto dell’ambiente, oltre che a costi minori per la collettività. E con velocità competitive, grazie al nuovo sistema AV, che hanno permesso di ridurre drasticamente le distanze fra le città.
In un’epoca in cui il Paese punta sulla crescita e sul futuro dei giovani, non è possibile rinunciare ai vantaggi offerti dalla ferrovia. Ed è proprio per questo motivo che, sin dal 2001, il DLF è impegnato a sostenere e diffondere una miglior conoscenza del ruolo che il “vecchio” treno, dopo essere stato a lungo considerato mezzo di trasporto di secondo piano rispetto all’automobile e all’aereo, è ancora una volta chiamato a svolgere nell’interesse della collettività.
Il progetto Scuola Ferrovia è curato dalle Associazioni DLF territoriali, alle quali gli Istituti scolastici si possono rivolgere per concordare gli interventi in aula di qualificati esperti e i viaggi in treno agli impianti ferroviari. A disposizione degli insegnanti viene messa la pubblicazione Ferrovie italiane 1839 – 2014. Dalla Napoli-Portici al Frecciarossa 1000, agevole strumento di consultazione e guida per lo studio della materia, nelle sue molteplici sfaccettature.