di Elisabetta Spitaleri
Siamo nell’estate del 1944 a Parigi. In previsione della liberazione della città da parte degli Americani, il colonnello Von Waldheim (Paul Scofield), grande appassionato d’arte, tenta di spedire in Germania un treno carico di opere d’arte conservate al “Jeu de Paume”, museo che, come poi si saprà, già da anni fungeva da magazzino e centro di smistamento per le migliaia di opere trafugate dai nazisti. Non è un mistero che Hitler avesse una vera ossessione per l’arte (quella che si adattasse correttamente all’immagine del regime, è ovvio) e da tempo aveva cominciato a progettare il suo Fűhrermuseum a Linz, inizialmente per raccogliere solo le opere tedesche sparse in altre nazioni e poi, nel suo delirio di onnipotenza, per ospitare anche opere straniere e renderlo il museo più grande del mondo. Un altro famelico collezionista fu Herman Gőring. Questa passione iniziata con l’acquisto regolare delle opere in tempo di pace si tramutò in una vera e propria razzia nei territori conquistati. La direttrice del museo M.lle Villard (Susanne Flon) non si rassegna ad assecondare il progetto e si rivolge alla resistenza francese perché impedisca questa spedizione. La burocrazia tedesca aveva già ritardato e bloccato la partenza del treno in quanto un convoglio ferroviario sarebbe stato più utile per il trasporto di truppe ed armamenti ma Von Waldheim riesce a convincere il generale Von Lubitz dell’utilità economica del tesoro rappresentato da quelle opere d’arte. Nonostante l’iniziale ritrosia, Paul Labiche (interpretato da Burt Lancaster), ispettore ferroviario apparentemente in buoni rapporti con i tedeschi ma in realtà membro della Resistenza e responsabile di molti sabotaggi, accetta di occuparsi di questa pericolosa impresa. La fucilazione del vecchio macchinista Papa Boule (Michel Simon) che aveva cercato ingenuamente di ritardare il treno, cancella ogni esitazione e comincia un piano complesso per deviare il treno a partire da Metz, camuffando addirittura le successive stazioni per ingannare i soldati di guardia sul percorso effettuato. In realtà il treno viene fatto tornare indietro per scontrarsi con una locomotiva e tamponato da un’altra. La liberazione ritarda ma giunge ordine che il treno non deve essere distrutto e il contenuto preservato ad ogni costo. Molti ferrovieri e civili verranno fucilati nel corso di questa operazione. Labiche ed alcuni compagni tinteggiano di bianco il tetto dei vagoni per evitare che gli Alleati li bombardino, fanno saltare tratti di binari ma nel frattempo la disfatta dei nazisti è finalmente compiuta e sono in fuga. Von Waldheim rimane sul treno per non separarsi dai quadri e Labiche lo affronta un’ultima volta per ucciderlo. Tutto il film è stato girato con grande realismo secondo la volontà del regista, preferito in seconda battuta ad Arthur Penn che avrebbe voluto fare un film più intimo che indagasse sul ruolo giocato dall’arte sui personaggi e sul perché avrebbero dovuto proteggerla dai nazisti rischiando la vita. La produzione e Burt Lancaster furono di altro avviso. Ed allora l’incidente del locomotore che deraglia è autentico, organizzato nella città di Acquigny con grandi misure di sicurezza: sette macchine da presa per un solo ciak possibile. Con lo stesso realismo le esplosioni dei binari con la dinamite furono effettuate su vari tratti di strada ferrata in rifacimento previo accordo con le ferrovie francesi. Le musiche originali del film sono del compositore francese Maurice Jarre. La sceneggiatura di questo grande classico del cinema americano è tratta dal romanzo “Le front de l’art: défense des collections françaises, 1939-1945” di Rose Valland (1898-1980) storica dell’arte e assistente presso la Galleria nazionale Jeu de Paume durante la Seconda Guerra Mondiale. Il suo coraggio e la sua tenacia nel compilare, in segreto e rischiando la vita, la lista in centinaia di volumi delle opere saccheggiate dai nazisti soprattutto a migliaia di famiglie ebree hanno portato al recupero di ben 60mila opere delle 100mila trafugate e spedite in Germania. Rose Valland partecipò anche alla promozione del film e riconobbe che per esigenze cinematografiche tante tematiche non potessero essere trattate in un solo film e qualche particolare doveva essere cambiato. La sua impresa fu a lungo dimenticata e nel dopo guerra non ricevette in patria dal mondo accademico (in prevalenza maschile) quei riconoscimenti o avanzamento di carriera che la sua competenza avrebbe meritato.
In un altro film hollywoodiano più recente (Monuments Men del 2014 diretto da George Clooney) l’esperta d’arte Claire Simòne, interpretata da Cate Blanchett, rievoca il personaggio della vera Rose.