DI ELISABETTA SPITALERI
Poteva sembrare scontato parlare in questa rubrica degli adattamenti cinematografici del romanzo omonimo di Agatha Christie del 1934 ma, a parte il valore artistico di queste due film in particolare (ci sono stati anche un paio di adattamenti televisivi), è interessante ricordarli in occasione di una mostra aperta fino al 21 maggio 2023 presso l’Accademia d Francia a Roma, Villa Medici, che ripercorre la storia di un treno entrato nell’immaginario collettivo come simbolo di lusso e viaggi esotici: “Orient-Express & & Cie. Itinerario di un mito moderno”. La mostra espone raccolte fotografiche, progetti, mappe, disegni tecnici e manifesti pubblicitari d’epoca. l’Orient-Express è stato operativo dal 1883 al 1977 e ha permesso di collegare Parigi a Costantinopoli, l’odierna Istanbul. Il film del 1974 con la regia dell’americano Sidney Lumet si mantiene fedele al libro e ha un approccio classico al genere “murder mistery”. Albert Finney nella parte di Hercule Poirot ci regala un investigatore razionale, freddo ed impenetrabile, capace di scavare nella psicologia dei sospettati. Un cast stellare (Lauren Bacall, Ingrid Bergman, Sean Connery solo per citarne alcuni) ha sancito il successo del film. La trama è nota: durante la seconda notte di viaggio il treno attraversa una regione dei Balcani sotto un’abbondante nevicata e la mattina seguente viene ritrovato nel suo scompartimento ancora chiuso dall’interno il cadavere del ricco uomo d’affari americano Samuel Edward Ratchett ucciso con dodici pugnalate. Il treno è bloccato dalla neve e Poirot, su richiesta di Bianchi, suo vecchio amico e dirigente della Compagnie Internationale des Wagons-Lits che gli miracolosamente trovato uno scompartimento libero ad Istanbul, assume il compito di indagare sul caso, con la collaborazione del dottor Constantine, un medico che si trova a bordo di un’altra carrozza del treno. La vittima è in realtà un gangster italo-americano di nome Cassetti, reputato il mandante del rapimento a scopo di estorsione della piccola Daisy Armstrong cinque anni prima e conclusosi con la morte della bambina. Ogni passeggero della carrozza ha avuto una parte, direttamente o indirettamente, in questa triste vicenda e tutti sono perciò colpevoli e hanno preso parte al delitto: dodici giurati, dodici coltellate… E Poirot si trova di fronte a un dilemma: la vendetta può essere una forma di giustizia e non è perciò meglio attribuire l’omicidio ad un fantomatico sicario salito sul treno e poi svanito nella notte?
Questo conflitto interiore compare ovviamente anche nel film di Kenneth Branagh del 2017. L’approccio dell’attore e regista inglese a tutta la vicenda è diverso. All’inizio del film troviamo Poirot a Gerusalemme, osannato come una rockstar per aver brillantemente risolto il mistero del furto di una preziosa reliquia. Forse per renderlo più contemporaneo e meno “ingessato”, il Poirot di Branagh è più istrionico, praticamente un divo che non esita a parlare di sé e delle proprie debolezze e vive la decisione finale in modo molto più melodrammatico e movimentato. Il film è stato girato in formato 70 millimetri per assicurare un ottimo livello di definizione di colori e contrasti. Alla fine Poirot viene contattato per recarsi urgentemente a risolvere un caso in Egitto, sul Nilo…ma questa è un’altra storia. “Assassinio sull’Orient Express” in versione classica o diciamo più “rock” cattura sempre e comunque l’attenzione dello spettatore fino a che Poirot non arriva con caparbietà e pazienza alla geniale soluzione finale.