di Marco Galaverna
Molti lettori ricorderanno d’aver avuto una radio o un televisore a valvole, mentre assai meno conosciuto è l’impiego che le valvole ebbero nelle locomotive elettriche, il quale fu però decisivo per l’affermazione del sistema monofase a frequenza industriale, che oggi è il sistema di trazione elettrica più diffuso nel mondo.
In elettronica, col termine generico di valvole s’intendono tubi a vuoto, al cui interno è possibile controllare la corrente, costituita da un flusso di elettroni emesso da un metallo incandescente, mediante la tensione applicata tra anodo e catodo o elettrodi ausiliari. Esistono vari tipi di tubi a vuoto, che svolgono le stesse funzioni dei più moderni componenti elettronici al silicio, come diodi, transistor e tiristori. I componenti al silicio hanno sostituito da decenni le valvole in quasi tutte le applicazioni. Quelle usate nella trazione ferroviaria erano del tipo più semplice, corrispondenti agli attuali diodi.
Le prime sperimentazioni si ebbero sulle ferrovie statunitensi, dal 1914, ma senza un seguito immediato e così la parte più rilevante della nostra storia ha inizio in Francia. Qui nel 1950 era realizzata la prima elettrificazione col nuovo sistema a corrente alternata monofase, alla tensione di 25000 V con la frequenza di 50 Hz, vantaggioso per la potenzialità delle linee e per la semplificazione degli impianti, ma che poneva difficoltà tecniche nella costruzione delle locomotive.
Infatti, alimentare i motori di trazione, del tipo a collettore e spazzole, direttamente alla frequenza di 50 Hz è possibile soltanto per macchine di piccola potenza, poche centinaia di kW, e a bassa tensione, fino a 200 o 300 V; sopra questi valori, il funzionamento non è più affidabile e il rendimento peggiora. Con le potenze tipiche di una locomotiva per servizi misti, occorre passare a soluzioni diverse.
I tecnici francesi ritennero ottimale l’impiego di motori a c.c., la qual cosa rese necessario convertire, a bordo dei nuovi mezzi, la tensione alternata della linea di contatto in una tensione continua. Dapprima ciò fu tentato tramite convertitori rotanti (un motore sincrono in asse con una dinamo) ma con risultati modesti, per l’eccesso di peso e ingombro e le limitate prestazioni. Quindi furono provati i raddrizzatori statici; questi, non essendo ancora matura la tecnologia del silicio, furono appunto costruiti utilizzando grosse valvole, simili a quelle che, negli stessi anni, si impiegavano per i caricabatteria industriali.
Le valvole più usate furono del tipo detto ignitrone, nel quale l’arco elettrico viene innescato ad ogni semiperiodo della tensione alternata di rete. Meno usato fu l’altro tipo, detto eccitrone, caratterizzato dal catodo mantenuto costantemente alla temperatura di emissione degli elettroni.
I risultati furono subito positivi e la notizia del successo francese indusse altre amministrazioni ferroviarie a scegliere il sistema di trazione elettrica monofase con locomotive a valvole: per limitarci all’Europa, la prima fu l’Inghilterra, nel 1952, seguita nel giro d’un decennio da Portogallo, Romania, Cecoslovacchia e URSS.
Si può ritenere che, senza il buon esito degli esperimenti francesi con i mezzi a ignitroni, il sistema di trazione monofase a 50 Hz non avrebbe avuto il veloce sviluppo che la storia testimonia o, quanto meno, esso sarebbe stato ritardato di qualche anno.
Le locomotive a ignitroni più famose sono forse le BB12000 francesi, costruite in 133 unità fra il 1954 e il 1961, delle quali si riporta in figura il circuito di potenza semplificato; tuttavia la rete ferroviaria col maggior numero di locomotive a ignitroni fu quella sovietica, con oltre mille unità dei gruppi VL60, FL23 e VL 80, costruite dal 1958. Altre locomotive a valvole furono allestite fra gli anni Cinquanta e Sessanta per le ferrovie giapponesi, cinesi e indiane [1].
Va detto che la vita tecnica delle valvole impiegate per la trazione elettrica è risultata più breve della vita media di una locomotiva e perciò, nel corso dei decenni, gli ignitroni a bordo dei mezzi citati sono stati per lo più sostituiti da diodi al silicio, che nel frattempo avevano raggiunto la piena maturità tecnologica. Le ultime BB12000 hanno terminato la loro carriera nel 2000.
In Italia non hanno mai circolato locomotive a valvole. Ricordiamo però che, fra il 1957 e il 1976, epoca del passaggio dall’elettrificazione trifase a quella in corrente continua della rete ligure – piemontese, per evitare il cambio del mezzo di trazione nelle stazioni di confine tra i due sistemi furono allestiti treni bicorrenti, cioè in grado di marciare sotto le linee di contatto di entrambi i sistemi, montando raddrizzatori a eccitroni su alcune carrozze rimorchiate Le 840, accoppiate a elettromotrici dei gruppi ALe 840 o 540 [2].
[1] Y. Machefert Tassin, F. Nouvion, J. Woimant, “Histoire de la traction electrique“, ed. La Vie du Rail, 1980.
[2] F. Spani, “La trazione elettrica“, vol. 1, Patron, 3a edizione, 1962.
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Marco Galaverna
Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.