di Marco Galaverna
Notizia dello scorso giugno: la Fondazione FS recupera due “littorine” degli anni Trenta, per ripararle e inserirle nel parco dei treni storici. Si tratta di due automotrici Diesel ALn 556 FIAT, che raggiungeranno un’altra ALn 556 preservata, già presente nella flotta d’epoca, però di tipo differente in quanto di costruzione Breda. La notizia ci dà lo spunto per ricordare questi mezzi caratteristici, accomunati in uno stesso Gruppo ma distinti in due serie piuttosto diverse fra loro.
Le “vecchie Breda” sono le automotrici ALn 556.2201-2340, costruite in 140 unità fra il 1938 e il 1940, e rappresentano una tappa importante nell’evoluzione dei mezzi leggeri.
Negli anni Trenta la preferenza tra il motore a scoppio alimentato a benzina e il motore Diesel alimentato a nafta, per la trazione ferroviaria, era ancora incerta e alle aziende nazionali le FS affidarono la costruzione di automotrici di entrambi i tipi.
Nel 1935 la Breda consegnò dieci automotrici, poi immatricolate ALn 56.2000, le prime col motore Diesel, che risultarono per vari aspetti superiori a tutti i modelli precedenti. Ulteriori miglioramenti portarono alle citate ALn 556.2200, con le quali fu introdotto il comando multiplo: due automotrici accoppiate venivano, come oggi, condotte da un’unica coppia di agenti dalla cabina in testa al treno. Da allora la scelta del propulsore Diesel, per le automotrici termiche, divenne definitiva.
In origine, ogni ALn 556.2200 era fornita di due motori Breda/AEC, per una potenza complessiva di 190 kW e una velocità massima di 140 km/h [1]. Durante la guerra, per la carenza di combustibili, queste macchine furono ritirate dal servizio e variamente danneggiate. Dopo il 1945, si approfittò della ricostruzione per introdurre importanti migliorie a tutte le “Breda”: i motori d’origine furono sostituiti con due propulsori D.17 da 230 kW complessivi, ne fu migliorato il raffreddamento spostando i radiatori dal frontale alla fiancata e fu modificata la trasmissione, pur conservando il cambio meccanico Wilson, riducendo la velocità a 120 km/h. In più, al posto dei piccoli paraurti originali, tipici delle automotrici d’anteguerra, fu montata una traversa di testa con veri respingenti. Nelle riparazioni postbelliche, nessun altro gruppo di automotrici fu oggetto di una ristrutturazione così importante e ciò suggerisce la buona reputazione di cui godevano queste macchine.
Esse, peraltro, erano le prime automotrici a presentare linee e dimensioni pienamente ferroviarie, mentre i tipi precedenti non si allontanavano dall’idea della carrozza motorizzata o dell’autobus su rotaia, essendo addirittura dotati, in qualche modello, di una sola cabina di guida, cosa che rendeva il mezzo unidirezionale. Notevole era anche l’estetica, grazie a una cassa piacevolmente filante, priva di chiodature e coprigiunti, che caratterizzavano invece i modelli FIAT.
La riduzione di velocità conferì alle “vecchie Breda” apprezzate doti di scalatrici. Così, nel dopoguerra, le vediamo assegnate ai Depositi di Bolzano, Merano, Fabriano, Roma San Lorenzo, Sulmona e Benevento, questi ultimi a capo di impegnative linee di montagna. In particolare, sulle linee Terni – Sulmona, Sulmona – Isernia e Benevento – Termoli esse affrontavano i tracciati più impervi della rete appenninica, con pendenze fino al 35 per mille, (come ai Giovi!) sul valico di Sella di Corno.
Incalzate dalle più moderne ALn 668, a partire dagli anni Settanta il raggio d’azione delle “vecchie Breda” si riduce all’Appennino centro – meridionale e quando, nell’estate 1980, terminano i servizi regolari sulla Terni – Sulmona, tutte le unità atte al servizio vengono concentrate a Benevento. Qui restano disponibili per servizi di riserva ma procedono le radiazioni e le demolizioni; le ultime unità sono formalmente radiate nel 1983. Sopravvivono oggi due esemplari di ALn 556 Breda: la 2312, non funzionante, è al museo di Pietrarsa mentre la 2331 è stata acquisita dalla Fondazione FS per l’effettuazione di treni storici.
L’unico viaggio che mi capitò di fare su queste automotrici fu nel 1977, fra Rieti e Terni; l’immagine qui inserita fu ripresa proprio in quell’occasione, nella stazione di Rieti. Le ALn 556 avevano i motori all’interno delle cabine di guida, che quindi risultavano molto rumorose. In cabina, i due agenti prendevano posto uno a destra e uno a sinistra del cofano motore e un macchinista mi raccontò che, col treno in marcia, occorreva gridare per sentirsi. Ma, per ciò che rammento da quel viaggio, anche nell’ambiente viaggiatori il rumore dei motori restava forte: diverso dal ronzio dei mezzi Diesel attuali e più simile a quello di un elicottero o di un trattore agricolo.
[1] M. Cruciani, “Il tempo delle Littorine”, ETR, 1987.
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Marco Galaverna
Nato a Genova nel 1963, si è laureato in Ingegneria Elettronica presso l’Università degli Studi di Genova e presso il medesimo ateneo ha conseguito il Dottorato in Ingegneria Elettrotecnica. Dal 1989 fornisce supporto presso la stessa Università alle attività didattiche per diversi corsi attinenti all’Ingegneria dei Trasporti. Socio dal 1990 del Collegio Ingegneri Ferroviari Italiani (C.I.F.I.) è stato Delegato della Sezione di Genova di tale Collegio dal 1998 al 2006. È autore di oltre 100 pubblicazioni scientifiche nel campo dell’Ingegneria dei Trasporti e del libro “Tecnologie dei trasporti e territorio” insieme al Prof. Giuseppe Sciutto. Dal 1992 è docente di Elettronica e materie affini presso l’Istituto d’Istruzione Secondaria Superiore Einaudi-Casaregis-Galilei di Genova.